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Il calcio se ne frega di quello che succede intorno.

Se ne frega perché il pallone rotola su qualsiasi superficie, ma la strada non è più in discesa. La linea è piatta e anche l’orizzonte ha cominciato ad assottigliarsi: non sappiamo dove e quando riaprirà uno stadio e torneremo a vedere una partita di calcio, tutti insieme. Seduti gli uni vicini agli altri, senza fare caso al braccio di chi ci urta. Non ci avevamo mai pensato al contatto fisico, o meglio alle possibili controindicazioni. Chi governa il calcio, poi, non aveva nemmeno pensato a un assurdo virus, intangibile ma onnipresente, come causa scatenante dello stop assoluto. Il calcio se ne frega, ma alla gente frega del calcio in questo momento e, sebbene si possano contare in modo smisurato i milioni di danni, si possono contare meglio le vittime del COVID-19. Numericamente saranno di meno, ma il valore di diritti televisivi, botteghini e sponsor non è nemmeno paragonabile per valore.

La verità è che tutto il mondo è paese e l’Argentina non rappresenta un’eccezione. Mentre il presidente Alberto Fernández, l’AFA e la CONMEBOL hanno preso del tempo per riflettere (chissà su cosa poi…), il passo più lungo della gamba l’ha compiuto il River Plate. L’intero corpo tecnico, i calciatori, i dirigenti hanno fisicamente chiuso le porte del Monumental e sbarrato ogni ingresso, rinunciando al match di Copa Superliga in programma con l’Atlético Tucúman, lo scorso 8 marzo. La squadra avversaria si era regolarmente presentata insieme agli arbitri e ad alcuni tifosi all’esterno del campo di gioco, ma quella non poteva essere una domenica qualunque. Rodolfo D’Onofrio, il presidente dei Millonarios, è stato anche accusato di aver compiuto una scelta politica molto più che etica, e in tanti hanno dubitato della natura della sua decisione, qualora il River Plate si fosse trovato a un passo dalla vittoria del trofeo. Eppure il River ha taciuto, ha chiuso ogni discorso con un comunicato e non si è ribellato di fronte a nessuna minaccia di squalifica piuttosto che di perdita della categoria. Lì fuori, se qualcuno non se ne fosse accorto, si sta combattendo una guerra decisamente più impegnativa contro un nemico sconosciuto e perverso.


Leggi il blog di Sabrina Uccello: ‘ El futbol de Sabrina


I calciatori hanno insistito affinché l’episodio aprisse gli occhi agli organi dirigenziali, che si sono arresi all’evidenza dei fatti troppo tardi. Come sempre, d’altronde. Ha ceduto il 12 marzo la CONMEBOL annunciando la sospensione, inizialmente per una sola settimana, di Copa Libertadores e Copa Sudamericana. Considerata la situazione, si è deciso di rinviare il ripristino delle attività a dopo il prossimo 5 maggio. Il 17 marzo, poi, l’annuncio ha riguardato anche la Copa América. La quarantasettesima edizione del torneo continentale sarebbe stata itinerante, tra Argentina e Colombia. L’appuntamento, alla pari degli Europei, è stato posticipato al 2021: 11/06-11/07. Tuttavia, ancora così si è atteso l’ultimo lavandino disponibile per lavarsi le mani da ogni responsabilità e scegliere il Ponzio Pilato meno convincente per cessare anche le attività interne al paese albiceleste. Mentre tutto il mondo si era già arreso alla propagazione del virus, l’AFA ha resistito, sottomettendosi all’inevitabile soltanto dopo i continui richiami del Ministro dello Sport e del Turismo. Matías Lammens a più riprese aveva richiesto la sospensione totale del calcio in ogni categoria fino al 31/03, includendo anche gli allenamenti delle squadre.

Decisiva è stata la voce del sindacato dei calciatori, Futbolistas Argentinos Agremiados, i quali avevano lasciato intendere da giorni che sarebbero stati disposti allo sciopero. L’inevitabile, comunque, è arrivato da sé. Da ieri sera (l’articolo è stato redatto il 20/03/20, ndr), l’Argentina è in quarantena. Segue i passi stanchi della Cina, dell’Italia, dell’Europa intera e si chiude nella sua quarantena. Ci sarà la polizia per strada a regolare il flusso del traffico e a reti unificate circolano messaggi di scongiuro a non uscire da casa, a combattere nella sicurezza delle proprie mura una battaglia dalla quale il mondo non sta ancora uscendo ed è già stato mortalmente ferito. Tutti i quotidiani nazionali hanno proposto la medesima prima pagina: “Il virus lo freniamo insieme, virilizziamo la responsabilità”. É tempo di riflettere, e sembra lontano anni luce il giorno di Maradona a La Bombonera e del suo bacio sulle labbra di Carlitos Tévez.

“Dio ci ha dato un’opportunità, ci ha detto del tempo per prevenire l’avanzata del virus. Tutti potranno uscire per le cose necessarie – ha dichiarato il presidente Alberto Fernández -, possono andare negli alimentari, ai supermercati, ai negozi vicini. Però, capiamoci bene, che da questa mezzanotte ogni cosa sarà controllata. Saremo assolutamente inflessibili. Questa è una misura straordinaria perché siamo in un momento eccezionale”.

Parole che fanno tornare con la mente al terribile passato senza libertà di espressione, movimento e pensiero. Ma il coronavirus non è un dittatore, è il più democratico dei mali: non compie distinzioni di alcun tipo. Non discerne e non può farlo nessun altro al posto suo: tutti insieme, perché insieme finirà bene. Non tutti l’hanno capito e sovvertire le regole sembra la via più facile per scansare il panico. Il calcio è l’antidoto principale a ogni paura, ma dura 90’ e questa volta lui se ne può fregare, noi no. Deve essere questo il gol del secolo, sarà questa la mano de Dios.

di Sabrina Uccello


calcioargentino.it

Un commento su “Il calcio se ne frega

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