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Se il dolore ha una misura, è quella della felicità che senti quando lo superi. O se sei meno fortunato, si misura nella capacità di attraversarlo, nonostante tutto.

Eduardo Salvio ha attraversato l’Europa. Dal Lanús all’Atlético Madrid nel 2010, diventando poi per nove anni il simbolo del Benfica. Con i lusitani è diventato un calciatore da 60 milioni di euro e i suoi dribbling ricordavano ai portoghesi quelli di Cristiano Ronaldo. Cinque campionati nazionali con le Águias e due Europa League con Simeone alla guida e in campo con Falcao, Godín, Juanfran… Un privilegiato, direbbe qualcuno. É durato undici anni il sogno di Toto nel Vecchio Continente. Ha provato a credere che vincere una coppa con il pubblico di Amburgo e Bucarest potesse essere il massimo.

Ma tu a La Bombonera ci sei mai stato? Nemmeno lui. E quale argentino non ha mai sognato La Doce gridare il proprio nome? Una telefonata fioca basta ad accendere in Salvio la decisione di rincasare. Chau Benfica, chau Europa. Era il 18 luglio del 2019 e l’Atléti lo cede agli argentini per 7 milioni di euro. Non avrà tatuato la data Toto, ma sua madre sì. Justina non ha aspettato altro che la chiamata giusta per rivedere Salvio la sera e accendergli la televisione in salotto per sintonizzarla su Dragon Ball. A qualcuno farà sorridere, ma il noto cartone animato giapponese è la vera passione di Toto, che in qualunque ritiro sia stato e prima di qualsiasi partita, ne ha sempre visto almeno un episodio. La prova evidente sono le sue esultanze: Boca – Godoy Cruz e il Bing Bang di Vegeta con il Gendi-dama di Gokú per sigillare la doppietta.

Tuttavia, l’ironia dura poco: donna Tota a inizio febbraio viene ricoverata e operata d’urgenza per un cancro al cervello. La notizia che tutti aspettano arrivi sempre a casa di qualcun altro. Un’operazione riuscita bene ma lunga nella riabilitazione. Justina porta da quel giorno una vistosa fascia intorno alla testa, che però non le ha bendato i sogni. Quando Salvio segna al Godoy Cruz, lei è in terapia intensiva ma non avrebbe perso quella partita per niente al mondo. Grida, esulta: il calcio è un antidoto a ogni dolore. Quella stessa notte, racconterà di aver sognato il Boca Juniors, squadra di cui è da sempre tifosa, vincere il campionato e ha visto se stessa entrare in campo in ginocchio. “Secondo te, non lo farò? Anche in barella andrò, se necessario”, ha detto poi sorridendo a ‘Cómo Te Va‘.

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Anche perché prima o poi qualcuno avrebbe dovuto fermare Gallardo: “Mi piace come gioca ma è anche fortunato. Ora la gloria sta toccando a Napoleón, ma un giorno anche Napoleón sbatterà la testa contro il muro, eh. Nella vita si perde e si vince”. Maradona avrà fatto la sua parte: la parola di D10S è una sentenza. Il suo Gimnasia è stato ospite del Boca all’ultima giornata di campionato.

Il River, con un punto di vantaggio sugli Xeneizes, è stato accolto dall’Atlético Tucumán di Zielinski. Il destino era tutto nelle mani dei Millonarios, ma c’era troppa magia a La Bombonera e il bacio di Maradona a Tévez è stata la benedizione per ritornare campioni d’Argentina, dopo un anno di pausa. Diego ha aspettato che Carlitos gli si avvicinasse in panchina per dargli il bacio che gli aveva promesso, prima ancora si era abbassato per fare lo stesso col césped di quel campo tutt’intorno blu e dorato.

Al 27’ del secondo tempo, Matías Suárez del River ha sbagliato una rete in movimento dal dischetto e nel contempo El Apache non ha fallito il suo appuntamento con un tiro da fuori area.Il Boca batte il Gimnasia, pareggia il River Plate e late l’Estadio Alberto José Armando. Tutti gli occhi sono per Riquelme, al primo trofeo da dirigente del club di cui è leggenda, per Tévez, per Diego, per Russo, persino per Benjamín, nipote di Maradona e figlio del Kun Agüero… ma in campo scende anche Doña Tota. L’aveva promesso.

S’inginocchia ma non ha bisogno di una barella. Salvio fa lo stesso ed è l’abbraccio più bello al mondo. Si stringono, si commuovono, uno sussurra all’altro la propria felicità per quel momento fuori dal tempo.“E ora, può succedere qualsiasi cosa: ormai l’ho visto campione qui. Come avrei potuto mancare? Dopo undici anni è tornato in Argentina per vincere. Dovunque vada, lui porta alla vittoria”, è orgogliosa Justina. Così tanto lo è che nessuno nota la bandana, si scorge solo la maglia azul y oro e le lacrime di gioia foderarle gli occhi.

No, Tota, ora non può succedere qualsiasi cosa. Ora devi vincere tu, altrimenti per chi giocherà in Copa Libertadores il tuo Eduardo?

di Sabrina Uccello

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