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Storica presentazione ieri nel Estadio Centenario di Montevideo del ‘loco’ Marcelo Bielsa come nuovo director técnico dell’Uruguay. L’allenatore argentino, tra i più apprezzati a livello mondiale, riparte dal Sudamerica per una nuova tappa della sua ‘nella ‘mistica’ carriera. Ecco le sue prime parole come Dt della Celeste, che hanno già conquistato i suoi ‘adepti’ e gli appassionati del futbol.

“La verità è che non hanno dovuto convincermi, direi invece che è avvenuto il contrario”, ammette brillantemente Marcelo nel tendone costruito ad hoc per la conferenza. “Il mio desiderio di appartenere a questo progetto ha avuto due estremi molto convincenti. Uno, sono i giocatori che ha in rosa l’Uruguay. Mi piace il gruppo di giocatori che ha rappresentato la nazionale negli ultimi anni. L’altro, è il destinatario del lavoro di una nazionale, che è il comune cittadino del Paese in questione”, ha aggiunto Bielsa.

LUNEDI MATTINA. “Mi sono deciso di passare un fine settimana a Montevideo con mia moglie ma alla fine ci siamo trattenuti per due mesi. Un giorno le ho detto: ‘passiamo la giornata a Carrasco e torniamo con i mezzi pubblici’, nel giorno di lunedì, quando tutti sono scontenti di tornare al lavoro dopo il riposo della domenica. Ebbene, abbiamo preso ll bus e il viaggio è durato 45 minuti. Durante questo periodo ho notato molti episodi che hanno messo alla prova la civiltà di chi era presente. Le conclusioni sono state di completa ammirazione nei confronti dei passeggeri per le attenzioni a donne e anziani, nonostante il mezzo fosse affollato e scomodo. È addirittura salito un controllore sul mezzo e ha svolto con normalità il proprio lavoro”.

DIFFERENZE. “La differenza tra dirigere un club e una nazionale è molto grande. Dirigere un club è un lavoro costante, mentre in una nazionale è individuare individui di alto livello. Una delle cose che ho considerato molto per la scelta finale è che non mi è stata offerta una squadra con giocatori di livello come quella della Selección uruguaya”.

VETERANI. “Non ho ancora parlato con i referenti più importanti (Suárez, Cavani, Muslera). Penso sia opportuno instaurare un dialogo, ascoltarsi e poi avrò l’inevitabile compito di decidere se andare in una direzione o nell’altra. Non ho dei preconcetti già stabiliti. Qualsiasi decisione che coinvolga un calciatore uruguaiano con un curriculum storico non può essere non affrontata senza ascolto. Rispetto molto i calciatori che hanno fatto la storia, perché sono patrimonio del popolo. L’idolo è l’esempio più prezioso per i ragazzi che cercano di emergere. Non vorrei mai fare consapevolmente qualcosa che possa danneggiare un idolo”.

ARGENTINITA‘. “Ovviamente sono argentino, sono orgoglioso di esserlo. Amo il calcio del mio paese e al di là del fatto che sono un tifoso, volevo che l’Argentina vincesse il campionato del mondo. Certo, la ricompensa della Copa del Mundo che ha avuto Messi è un qualcosa legato alla sua pazienza, alla sua perseveranza, oltre che alle sue risorse tecniche, che ovviamente, sono straordinarie”.

TIFO ARGENTINA. “Per la prima volta ho notato che il pubblico al mundial ha accompagnato l’Argentina aldilà del risultato, e questo non è legato al nome che porta, bensì a qualcosa che questa squadra si è guadagnata. Le difficili condizioni sociali in Argentina aiutano caratterialmente i giocatori perché nessuno vuole scendere in campo già perdente. Ma il pubblico del mondiale era diverso, il messaggio che hanno dato era che sarebbero stati vicino alla squadra a prescindere dal risultato. E questo ha avuto un impatto molto forte sulla squadra”.

FINAL MUNDIAL. “Prima della finale ho fatto un confronto tra le due squadre, mettendo ogni giocatore francese a specchio con uno argentino nella stessa posizione. La mia conclusione è stata che c’erano nove migliori giocatori francesi e mi son detto ‘caña’, sarà una partita difficile. Ma l’Argentina non solo ha meritato la vittoria, ma ha dominato 80 minuti su 90. Per me quello è stato la miglior vittoria, dall’allenatore ai giocatori, che si sono dimostrati molto più meritevoli dei loro rivali, in quanto l’analisi precedente indicava il contrario. È questo è l’elogio più alto che ha avuto la Selección Argentina”.

STAFF URUGUAYO. “Ci sono colleghi con cui ho lavorato per molti anni che mi rimarranno vicini e ci sono alcuni membri dello staff tecnico che preferisco siano nazionali, uruguaiani, perché mi aiuteranno a connettermi più facilmente con le abitudini di un paese che è necessario conoscere.”

PARAMETRI DI SCELTA. “La condizione che mi dò, non è scegliere giocatori giovani ma i migliori. I giocatori conquistano un posto se si rendono meritevoli rispetto a quelli che rimpiazzano. L’età è solo un fattore dei tanti. I processi generazionali di una nazionale sono naturali e avvengono prima o poi. È molto difficile dire se inizierò un nuovo ciclo generazionale, perchè ancora non mi sono reso conto di chi dovrò allenare”.

GRANDE ALLENATORE. “Nel calcio mondiale ci sono 20 grandi squadre e io non ne ho mai guidata nessuna. Nemmeno loro mi hanno cercato. Come posso essere uno dei più grandi allenatori del mondo senza aver mai guidato una grande squadra? Non faccio parte di quella categoria. L’essere umano vuole essere amato, e nel calcio l’affetto si ottiene installando ricordi indimenticabili nella memoria collettiva, e l’unico modo è vincere”.

EVOLUZIONE. “Negli anni il calcio, i giocatori e le risorse sono cambiati. Nei miei limiti, cerco sempre di incorporare le nuove, nuove idee. Non ho lavorato per più di un anno e ho usato molto di quel tempo per aggiornarmi, per capire meglio alcune novità che offre il calcio. Non rifiuto niente di attuale per non capirlo e provare a padroneggiarlo. Non capisco chi guarda solo gli highlights per capire una partita, quello non è il calcio. È come se vivessi con tua moglie solo il sabato sera. Sei al sicuro, non c’è matrimonio che può fallire. Se vedi il calcio negli highlights, come può non piacerti? Quello però è essere uno spettatore. Essere tifoso è un’altra cosa”.

STILE DI GIOCO. “Imporre uno stile o un modo di giocare è la combinazione tra le intenzioni dell’allenatore, le possibilità dei giocatori e un tempo di sviluppo necessario. Agirò in base a ciò che penso e sento. Il giorno in cui l’Uruguay affronterà il Cile sarà martedì e noi giocheremo giovedì. Se dicessi che l’ottenimento dello stile di gioco si ottiene in due giorni, ingannerei. Ma se dico che tradirò il mio modo di pensare, lo stesso mentirei. I grandi giocatori non hanno bisogno di troppo tempo per assimilare uno stile, e i veri grandi lo capiscono quasi all’istante. Per come penso il calcio, lo trovo molto assimilabile per i giocatori con cui immagino di costruire la squadra. Mi permetto di credere che il compito non sarà così difficile “.

COPA DEL MUNDO? “La speranza è una cosa, la consapevolezza è un’altra. Ci sono paesi che, se prendono coscienza del loro potere, delle loro potenzialità, hanno meno possibilità di costruire attraverso la speranza. Ci sono altri in cui la consapevolezza li autorizza a fantasticare al massimo. E ce ne sono altri paesi che combinano le due cose, che hanno risorse e background alimentati dalla fantasia. Io credo che l’Uruguay stia nel mezzo: si può fantasticare e si hanno motivati motivi per nutrire questa fantasia”.

GIOCARE BENE. “Esiste un concetto universale di cosa significhi giocare bene. Chi gioca bene non ha nazionalità. In certe nazionali ci sono giocatori in cui predomina la creazione, in altri la forza, in altri ancora la ripartenza. In questo senso l’Uruguay offre, dal mio punto di vista, versioni soddisfacenti a tutti i livelli”.

FALLIMENTO. ‘È stato un fallimento per lei non vincere la Copa América?’, gli chiede un giornalista, ricordandogli il secondo posto nella competizione nel 2003/04 alla guida dell’Argentina. “C’è un giocatore di basket americano (Giannis Antetokounmpo) che ha dato una risposta magistrale ed è molto difficile replicarla, ma lui riponde alla sua domanda in un modo che io non potrei fare così bene. Suggerisco questa risposta per valutare cos’è il fallimento e cos’è il successo. Fallimento e successo, nei termini con cui chiedi, significa l’ordine in cui ogni squadra conclude la stagione in classifica. Questa è una misura ineluttabile, molto rappresentativa, ma per alcuni non è l’unico parametro. Ce ne sono di più importanti. E quelli sono umani”.

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