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Un lio (casino) maravilloso. Tutto “bellissimo”, quando c’è di mezzo l’Argentina come al solito. Lionèl, gol a parte, meraviglioso un po’ meno, non solo a causa sua. Ma per adesso può bastare.

Dal fondo del mar della rovinosa e inopinata sconfitta contro l’Arabia Saudita, al rascacielo della vittoria salvifica contro il Messico, nel più classico dei cliché che da oltre vent’anni accompagna la Selecciòn in qualsiasi competizione la veda coinvolta, Copa America o mondiale di calcio che sia. Da soberbia e prosopopea delle dichiarazione ante inizio delle competizioni, le 36 partite de invictos, una Copa America (importante si, ma fino a un certo punto), fino allo sbattere duramente il muso contro sè stessi con relative crisi mistiche e manie di persecuzione, il passo è breve.

Ma la memoria a quelle latitudini pare proprio non essere parte integrante del viaggio. Della serie come direbbe il Cabezòn Ruggeri: “sembra che certa gente sia nata su un’isola…”, contava solo la vittoria nella gara contro il Messico (ma sarà così anche nelle prossime) e vittoria è stata.

Di fatica, perché per un’ora abbondante non si è visto uno straccio di azione degno di tale definizione, anche (ma non solo) a causa di una formazione iniziale, l’ennesima, schierata da Scaloni senza un minimo di criterio logico.

E di fortuna contro la peggiore Tri degli ultimi quattro lustri c’è voluto ed è servito un colpo da biliardo di Messi (come quello di Enzo Fernandez per altro) per sbloccare e indirizzare una gara, nella quale l’Albiceleste altrimenti non avrebbe segnato su azione nemmeno per le successive quarantotto ore. Ma soprattutto, perché in panchina, oltre a uno Scaloni completamente in bambola, incapace di leggere e correggere le partite in corsa, ha uno scienziato del calcio -lo era anche da calciatore- che invece perfettamente ha l’idea di come funziona il gioco. Il nome è Pablo Cesàr Aimarel Mago”, che ha letteralmente suggerito i cambi al suo “superiore” nel corso della gara.

Cambi di uomini e tattici che, come accennavamo nel commento post sconfitta del primo turno, oltre che fisiologici SONO stati necessari per trovare la quadra dell’equipo e cercare di competere in una contesa diversa da quella continentale. A cominciare dall’esclusione di Lautaro Martinez per l’inserimento di Julián Álvarez decisamente più funzionale al sistema e ai compagni di ventura sino ad arrivare al più logico dei cambi, ovverosia quello di Guido Rodríguez con Enzo Fernandez l’unico che poteva e può fare le veci in quello che doveva essere il ruolo occupato dall’infortunato Gio Lo Celso. La chiave della trasformazione totale, l’ avanzare il raggio d’azione di tutto l’equipo di venti/trenta metri. Da quel momento la Selecciòn ha preso in mano il gioco e la palla ha cominciato a correre di più e meglio perché gli interpreti hanno cominciato a riceversi nei posti giusti.

Il caso del Fideo Di María è quello più eclatante di tutti anche se forse il meno appariscente. Nel primo tempo le sue incursioni per imporre la sua velocità e la tecnica sono state sterili, senza possibilità di progresso; quando ha potuto esprimersi in una zona dove davvero creano pericoli veri ha fatto quello che tutti conosciamo e che è nelle sue skills e, l’azione dell’1-0 ne è la prova migliore. Accentrarsi verso l’interno “raccogliendo” avversari vicino all’area gli permette di avere più soluzioni e calciare anche verso la porta, ma anche di poter scaricare per Lionel Messi, che poco prima del suo gol era stato improduttivo.

La stessa situazione si è estesa al resto degli attaccanti. L’avanzamento di Messi, con più o meno continuità, ha fatto crescere il rendimento anche di Alexis Mac Allister che gli si è avvicinato per creare densità. L’ingresso di Julián Álvarez come scritto in precedenza ha fatto il resto, perché l’Araña muovendosi su tutto il fronte d’attacco ha permesso di far abbassare ulteriormente il pullman messicano posizionato tatticamente dal Tata, senza possibilità che questo riuscisse ad abbassarsi ulteriormente dietro la linea della palla.

Situazione che con Lautaro Martinez era impossibile fare a causa della staticità e la scarsa intelligenza tattica dello stesso. Nel finale poi è stato ripristinato anche Molina, titolare nella gara contro i sauditi, come carrilero in luogo di Montiel e forse sarebbe anche il caso di reinserire Tagliafico (uno dei pochissimi, forse l’unico che si era salvato nella prima gara) in luogo di quell’altra mummia che vagava per il campo che prende il nome di Acuña. Tanto è bastato per cambiare l’inerzia della partita e (ri)acquisire d’un tratto quel minimo di tutta di confianza che si era dissipata lungo la partita contro l’Arabia Saudita e i primi sessanta minuti di sabato.

Confianza che adesso andrà corroborata dal consolidare e affinare l’undici visto in campo nell’ultima mezz’ora, benchè già si parli del reinserimento di Paredes con “spostamento” di Fernandez (in luogo di Alexis McAllister) nel ruolo di interno come De Paul, e che dovrà aumentare passando da una vittoria che deve arrivare si o si nella prossima gara contro la Polonia. Per la certezza di qualificarsi alla fase finale e soprattutto per cercare di evitare un secondo posto (dal quale l’Argentina non dipende da se stessa ma dal… Messico) che significherebbe scontro contro la corazzata Francia nell’ottavo di finale, partido per il quale questa Albiceleste non sembra ancora pronta.

E cercando, ojalà, di esularsi il più possibile da quella tossica manga di tira mufas che è la ciurma del periodismo argento, vera piaga del fulbo albiceleste (al pari delle barras) che dopo la gara di ieri ha già reiniziato a drogare l’atmosfera con favole del genere “si è creata una nuova società Messi-Fernandez” e amenità simili. Per loro verrebbe da citare uno dei migliori neologismi coniati dal dott. Bilardo in uno dei suoi “oneman show” durante Italia 90, ma al contrario dei livorosi e ambigui avventizi dell’Albiceleste è meglio soprassedere.

Intanto, come all’epoca, il risultato della seconda gara è stato lo stesso, 2-0, all’Urss nel mondiale 90 con le reti di Pedrito Toglio e del Burru e al Messico ieri. Un segnale del destino? Nessuno lo sa, ma lo màs importante è che la strada imboccata sia quella giusta. Al campo l’ardua sentenza.

Aguante ARGENTINA, siempre

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