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Chiaccherata amichevole con la giornalista Sabrina Uccello, tra tematiche calcistiche attuali ed esperienze di vita personali. Sempre con l’Argentina, come unico comune denominatore.

Sabrina, eclettica giornalista e tuttofare, recentemente sei stata autrice di un libro, intitolato ‘Storie di altri’. Di che si tratta?

Il libro è un vero e proprio viaggio all’interno dei nostri sentimenti. È un progetto che nasce poco prima della pandemia, ma in qualche modo, stare chiusi ha anche aiutato un auto riflessione che l’ha reso più completo sotto diversi punti di vista. È un esperimento per entrare nella vite degli altri. Venti sentimenti raccontati da venti persone diverse a partire dalla loro personalissima esperienza di vita.

Nell’ultima tua ‘campagna argentina’, hai realizzato un reportage sugli stadi delle 5 ‘grandes de Argentina’. Raccontaci l’esperienza a livello personale.

A livello personale visitare cinque stadi di quella portata è stato qualcosa di meraviglioso, anche perché l’ho fatto da un punto piuttosto privilegiato, scendendo in campo, dal punto di vista dei calciatori. Conoscerne le istituzioni, i quartieri, gli stadi, in qualche modo mi ha fatto capire ancora di più come sia inevitabile appassionarsi del calcio sudamericano, ma anche come sia unico il loro modo di viverlo, perché il club, esistendo i soci, è proprio dei tifosi al 100%. È un punto di vista che noi non potremmo mai avere. L’appartenenza è veramente tatuata sulla pelle.

Domanda scontata, quale impianto ti è piaciuto di più?

(Ovviamente non menzionerò il Vèlez, innanzitutto perchè non era presente all’interno del documentario e in secondo luogo perché sarei eccessivamente di parte). Mi è piaciuto molto lo stadio ‘el Cilindro’ de Avellaneda, forse perché i colori mi ricordano quelli della mia città, Napoli, e perchè mi piacciono gli stadi circolari. Ognuno è veramente unico a suo modo ed è una cattiveria doverne scegliere uno. Ma se proprio mi devo sbilanciare, credo che ‘el Monumental’ abbia un qualcosa in più. È immenso, è veramente sconfinato. Tra l’altro, quando ci sono stata, iniziavano a ristrutturarlo e si intravedeva lo scheletro di quello che sarà fra pochi mesi. Veramente, allora percepisci che la nazionale non potrebbe avere un’altra casa, perchè lo stadio è capace di raccogliere una quantità rilevante di tifosi. E’ molto bello perchè la struttura nasce all’interno del ‘Mondo River’, quindi i bambini che studiano al collegio e alla scuola del River ci passano tutti i giorni. Vedere questi bambini di cinque, sei anni in fila sotto il tunnel, è stato veramente particolare e significativo.

Da sempre hai un legame a doppio filo con l’Argentina e in particolare modo con il futbol argentino. Merito di Diego, date le tue origini partenopee, oppure c’è dell’altro?

Diciamo che Diego e le mie origini partenopee mi hanno particolarmente spinto ad approfondire sempre più questo legame incredibile, tra due realtà geograficamente distanti migliaia di chilometri, ma incredibilmente simili, chiaramente dovuto anche ai flussi migratori. Diego non ha fatto altro che rafforzare un filo che già esisteva. E poi questo modo così passionale, questa ironia… io credo che siamo composti dalla stessa materia dell’anima. In qualche modo il calcio sudamericano, rispetto a quello europeo, è ancora ancorato ai tifosi, lontano da quella logica puramente di marketing che purtoppo spesso accompagna i nostri club. Questo calcio riesce ancora ad appassionarti e rafforzare un legame, che esisteva per altre ragioni culturali.

Nè hincha de Boca, nè de River, ma follemente enamorada del Velez. Da dove nasce questa tua predilezione per il Fortin?

Innanzitutto amo il Vélez perchè è una squadra che ha sempre rappresentato la bandiera italiana. Il fatto di difenderla, di difendere le origini con questo orgoglio, in qualche modo mi genera la simpatia. E poi uno dei personaggi più emblematici del Vélez è stato el Tigre Gareca, che in assoluto è il mio sportivo preferito. Ovviamente, sempre escludendo Maradona, che fa parte di una categoria non umana. In secondo luogo perchè il Vélez ha vinto una Copa del Mondo contro un Milan imbattibile, mentre gli argentini erano una squadra operaia. Questa rivincita del gioco, la rivincita della squadra che lotta sulla squadra perfetta, sulla macchina nobile, da napoletana, mi appartiene ancora di più questo sentimento, di rivendicazione, del lavoro che dà i suoi frutti. Una commissione di situazioni mi hanno portato a questo sentimento.

Parlando di mercato, gli ultimi arrivati, Enzo Fernandez e Julian Alvarez hanno destato grandissima impressione in Europa, rispettivamente al Benfica e Manchester City. Perché in Italia si fa così tanta fatica a ‘fidarsi’ del giocatore argentino? Eppure il talento sembra non mancare, no?

Diciamo che oggi giorno il calcio italiano non può nemmeno permettersi un Enzo Fernandez o un Julian Alvarez. Nel senso che sono talmente talenti cristallini, che vengono adocchiati da squadre con maggiori finanze o con un settore scouting più evoluto, come quello portoghese, attualmente con ‘agganci’ diversi rispetto a quello italiano. O quando ci sono le possibilità, non c’è la fiducia necessaria per capire che il talento va ‘sgrezzato’. In Italia o in Europa parliamo di un calcio diverso, con ritmi diversi, con una educazione all’allenamento diversa, con un approccio diverso. E lo stiamo notando con Agustín Alvarez del Sassuolo, un calciatore di grande talento, che già l’ha dimostrato perchè si è fatto bastare pochi minuti per andare in gol, minuti finali tra l’altro. Purtoppo il calcio non è altro che il riflesso della nostra società, dove, anche per le persone più giovani, c’è meno spazio nel mondo del lavoro perchè si pretende l’esperienza. Ma l’esperienza si acquisisce sul campo. Ciò che è fondamentale è il talento e l’attitudine. Se questo è presente, bisogna lasciarsi trasportare.

Capitolo Mundial. In assenza dell’Italia quali squadre ti incuriosiscono? (Oltre all’Argentina).

Questi mondiali sono parecchio dolorosi perchè non c’è l’estate di mezzo, che poteva costituire una distrazione. Questa pausa brusca ci proietterà in un mese un pò agonico per noi italiani. Per quanto riguarda le squadre, fatta eccezione per Argentina, Francia, Germania, che bene o male, rappresentano le certezze, credo che si stia sottostimando il valore del Brasile, che, per quanto mi riguarda, fa sempre parte delle favorite, avendo una squadra davvero invidiabile. E lo stesso dico dell’Uruguay, altra formazione che spesso e volentieri si è ridotta ad essere emblema delle persone di Cavani e Suarez, ma che invece ha eccelenti giocatori e può dire la sua. Io poi, sono innamoratissima di De Arrascaeta, Darwin Nuñez e Valverde, quest’ultimo uno dei miei giocatori preferiti e protagonista del primo episodio del mio podcast, Sudamericalcio. Questi giocatori fanno parte di una nazionale notevolmente talentuosa, da tenere d’occhio.

Come la vedi personalmente la Scaloneta nell’avventura del Qatar? Ti sarai confrontata con vari giornalisti argentini, che aspettative si pongono lì in patria?

Per quanto riguarda l’Argentina, i tifosi e giornalisti ci credono più che mai. La passione collettiva sta trascinando la squadra e Leo Messi verso la vittoria dei mondiali. Si avverte, come se ci fosse una coincidenza astrale, nella misura in cui, verosibilmente, sarà l’ultimo mondiale mondiale di Messi. Il fatto di essere protagonisti della vittoria della Copa America, del record di risultati utili consecutivi, in uno spogliatoio mai così affiatato, sono convincenti circostanze che stanno spingendo questa nazionale. Possiedono tutte le caratteristiche necessarie tecniche, il talento, ma anche l’intelligenza tattica per vincere, o quantomeno per provarci. Poi chiaramente, il calcio non è matematica, è molto imprevedibile. Scaloni merita assolutamente il posto che occupa, perchè fa parte di quella categoria di allenatori, magari meno sponsorizzata, che dopo una serie di vicissitudini si è trovato lì un pò per caso, ma in realtà, è risultato all’altezza della situazione, ben preparato e studioso del calcio. Tra l’altro, ha avuto anche un buonissimo rapporto con Marcelo Gallardo in un buon scambio di vedute con lui. E’ un personaggio che fa poco rumore ma in realtà è molto, molto preparato. Tant’è, che questa rosa l’ha costruita lui.

Per ultimo, Diego. Nascono constantemente a Napoli e dintorni nuovi murales dedicati alla figura di Diego Maradona. Come spieghi questo attaccamento territoriale che coinvolge diverse generazioni e che dura da più di 30 anni?

Beh, Diego è tutto. Diego è Dio per noi. Questo attaccamento si spiega in un modo semplice. Non è una questione sportiva o calcistica, fermo restando che si tratta, dal mio punto di vista, di un inarrivabile, del più forte di tutti i tempi per la sua genialità, per il suo talento. E’ invece una questione sociale, culturale. Non si può dimenticare chi è venuto a riscattarti, chi è venuto ad indentificarsi con te e a rivendicarti, chi è venuto a difendere una capitale caduta e non un barrio di provincia. Questo gli conferisce ancor più significato.

Secondo te, D10s lo rimpiangono più in Argentina o a Napoli?

Credo che in Argentina si rimpianga, ma parliamo di una nazione intera. Qui invece parliamo di una città, un contesto relativamente più ristretto dove Diego ha veramente rappresentato ogni napoletano, ha difeso la causa di ciascun napoletano, e ripeto, l’ha fatto da straniero. Questo fa sì che la riconoscenza sia ancora maggiore.

Ultima domanda telegrafica: la classifica delle tre cose tipiche più buone che hai degustato a Buenos Aires.

1°: Empanadas da Pin Pun (av. Corrientes); 2°: Pizza Imperio; 3°: Choripán.

Grazie Sabrina per la bella chiacchiera, buena suerte per i progetti che porti nel cuore. Ti auguriamo il meglio!

Un commento su “La Sabrina argentina

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