2 54 minuti 4 anni
Jorge Higuain ha giocato nel 1986/87 nel Boca Juniors,
 dal 1988 al 1991 al River

Articolo di Filippo Maria Ricci, La Gazzetta dello Sport, 21 novembre 2018.

Il Superclasico del Pipa

Papà Higuain:
«Oggi tifo River. Al Boca segnammo sia io che Gonzalo»

Papà Higuain, il «Pipa», è stato un buon difensore: «old school» argentina, pochi fronzoli, tanta sostanza, applicazione massima. Quindici anni di carriera e un breve passaggio in Francia (dove è nato il Pipita), messo lì in mezzo tra le esperienze con Boca e River, che in questa conversazione sono sempre e rigorosamente pronunciate senza articolo. Di «Clásicos», Jorge Higuain ne ha giocati tanti.

E iniziamo dal padre di tutti i Boca-River. Ha visto l’andata?
«Non in diretta, perché ero allo stadio per Milan­ Juve. Poi ho recuperato con immagini e articoli vari: il River è stato più vicino al successo, ha creato più gioco e occasioni da gol. Una partita vibrante, vertiginosa e il risultato è positivo.
Peccato solo che non ci sia la regola dei gol in trasferta. Col formato precedente il River avrebbe avuto un vantaggio significativo»
.

Tifa River dunque.
«Io nasco come hincha di Ferrocarril Oeste perché quella era la squadra di mio padre.
Col Boca sono rimasto un anno, col River 4. Lì ho vinto il campionato e lì i miei figli sono cresciuti tanto a livello sportivo come sociale visto che sono andati alla scuola del club che accompagna la carriera dei canterani. È normale che in un Clásico la mia preferenza vada al River».

I suoi ricordi?
«Sono partite uniche. Se il mondo conosce, apprezza, rispetta il Boca­River può immaginare cosa significa quella partita per i tifosi delle due squadre. La passione non è inferiore a quella di nessun’altra partita del mondo. Fortunatamente – e ripeto, fortunatamente – i tifosi ospiti ora non possono assistere alla gara perché altrimenti sarebbe stato pericolosissimo. Lo dico con una gran pena nell’anima, perché i Clásicos coi tuoi tifosi presenti sono un’altra storia. Peccato enorme però purtroppo siamo arrivati a un punto nel quale dobbiamo ringraziare il fatto che i tifosi ospiti siano banditi perché non succedano cose orribili».

Il suo primo Clásico con il Boca.
«Avevo quasi trent’anni, non ero più un ragazzino però la sensazione è stata comunque indimenticabile. La settimana che porta alla sfida è incredibile, l’attesa, la tensione, i giornali, la gente per strada, in ogni cosa che circonda la gara si genera un sentimento da fine del mondo, come se non ci fosse un domani».

Il bilancio personale?
«Non eccezionale. Quando ero al Boca giocavamo contro un equipazo: Pumpido, Ruggeri, Francescoli… e quando ero al River diciamo che la tendenza era che loro vincessero i Clásicos e noi il campionato. Però col River ho avuto la fortuna di segnare in un Clásico che vincemmo (settembre 1990). E, sedici anni dopo, la stessa cosa è toccata a Gonzalo».

Questa finale ha riacceso i fari sul calcio argentino.
«Sì, ed è una benedizione perché riporta l’attenzione del mondo a casa nostra e dimostra che il fútbol argentino può ancora dire qualcosa, che ci sono buoni giocatori e che il campionato continua ad essere una cantera per il mondo. Per noi a livello di club questa è la partita più importante della storia, ma il sentimento d’orgoglio calcistico va oltre le due tifoserie coinvolte».

Per lei il calcio argentino continua ad essere una buona cantera, però rispetto ai suoi tempi non c’è paragone.
«È vero. Però, e non è certo una consolazione, anche dal Brasile non arrivano più i giocatori che nascevano un tempo. Il Sudamerica non riesce a mantenere il livello qualitativo del passato recente».

Perché?
«Questo è un tema che mi sta a cuore e m’intristisce: oggi i ragazzi preferiscono giocare col telefono o col tablet più che con la pelota. È una lotta costante e la famiglia deve fare di più. I genitori devono portare i bambini al parco a giocare, non toglierseli di dosso dando loro un aggeggio elettronico: troppo comodo. È un problema sociale che sta investendo il mondo intero, perché io parlo con amici in Italia e dicono lo stesso: anche a voi mancano i giocatori, tanto che siete rimasti fuori dal Mondiale. Quando vado in giro a Milano, a Madrid, o prima a Torino, io non incontro bambini che giocano a pallone. Mio padre mi portava al parco tutte le domeniche e poi a vedere il Ferro, e io facevo lo stesso con i miei ragazzi: parco e River».

Sabato come finirà?
«Difficile da dirsi. Sono due grandi squadre che devono giocare con estrema cautela. È una partita psicologicamente complessa che bisogna saper condurre con grande personalità. Il Monumental influirà e rovescerà sul campo un’esigenza che il River deve gestire: non bisogna farsi trascinare dalla passione ma dall’intelligenza e applicarla in campo».

(10 – continua)


calcioargentino.it

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