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Un viaggio verso l’argentinità del club più titolato di Spagna: il Real Madrid. Giocatori immortali albicelestes che hanno fatto storia e contribuito alla leggenda dell’equipo merengues.

Episodio 5: Carlos Guerini

Il 10 marzo 1949 nasce a Córdoba, in Argentina, Carlos Alfredo Guerini Lacasia, detto “el Chupete” (il Ciuccio ). Attaccante, esordì da professionista nel 1966 nel General Paz Juniors, piccola squadra della sua città natale. Soprannominato “El Pacifier”, nel 1970 passò al Club Rosario Puerto Belgrano, dove rimase solo una stagione. Nel 1972 firmò per il Belgrano e nel 1973 per il Boca Juniors. Fu in quel periodo che venne convocato dalla squadra argentina e ne diventò l’eroe, segnando il gol fondamentale che permise la qualificazione ai Mondiali del 1974 in Germania.

Proprio e subito dopo quella partita, fu ingaggiato dagli spagnoli del Málaga, dove conobbe i suoi connazionali Rodolfo Vilanova e Sebastián Viberti. Ma, nonostante il gol decisivo, non venne preso in cosiderazione per il mondiale. Superata la delusione, ebbe un periodo relativamente discreto al Málaga, con tre gol in 24 partite (uno contro il Real Madrid).

Nel suo secondo anno alla Rosaleda giocò ancora meno, 17 partite, e segnò quattro gol, ma non poté evitare la retrocessione della squadra di boquerón. Nell’estate del 1975, con sua sorpresa, il Real Madrid lo ingaggiò. Il suo primo anno fu difficile e giocò solo 16 partite, segnando due gol, entrambe nella stessa partita contro l’RCD Español. Quell’anno il Real Madrid vinse la Liga. Nella sua seconda stagione con i bianchi ottenne record simili (17 partite, quattro gol). Al terzo anno giocò 21 partite e segnò tre gol e già nel 78/79 giocò solo 13 partite e segnò due reti. In quattro anni vinse tre campionati con i bianchi. Ma poi all’improvviso tornò in Argentina. Lo chiamò il presidente del Talleres de Córdoba e lui, convintosi, volle tornare a casa. Il presidente del Real Madrid, Luis de Carlos, si chiedeva se fosse diventato pazzo all’improvviso. Ma andò avanti con la sua decisione e ritornò nel suo paese per giocare un altro anno dopo il suo ritiro, nel 1980.

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In collaborazione con Madristagram_italia

Episodio 4: Ezequiel Garay

“Ho molto rispetto per il Real Madrid come squadra e come istituzione. Tuttavia, penso che la migliore decisione della mia carriera sia stata quella di lasciare quel club”.

Ezequiel Garay, classe 1986, era più che un semplice difensore centrale. Al Real Madrid era arrivato nel 2009 dal Racing di Santander dopo la breve esperienza argentina nelle file del Newell’s dell’allora Dt Nery Pumpido: A Rosario prima e a Santander poi si era fatto conoscere sia per le qualità difensive che per i calci di rigore segnati. Cecchino dagli undici metri e possidente di un carattere deciso, era l’uomo giusto per rilanciare un Real in crisi in quegli anni in campo europeo.

A Madrid, gioca 31 partite tra le stagioni 2009/10 e 2010/11 segnando un gol e vincendo una Coppa del Re. In Spagna ci è tornato dopo le tappe Benfica e Zenit approdando al Valencia Club de Fútbol. Totalmente identificato con i colori del nuovo club è stato leader e condottiero nella qualificazione alla Champions League con tanto di goal decisivo nel 2-1 contro il suo ex Real Madrid . Il 18 maggio 2007 è stato convocato per la prima volta dalla nazionale argentina. Il debutto ufficiale avviene il 22 agosto 2007 nell’amichevole di Oslo contro la Norvegia. Nel 2008 ha fatto parte della rosa della squadra che ha vinto i Giochi Olimpici di Pechino 2008 (medaglia d’oro).

Dopo non aver giocato la Copa America del 2011 per infortunio, Garay viene convocato dal Dt Alejandro Sabella al Mondiale del 2014 in Brasile. Il difensore gioca tutte le partite, da Bosnia-Erzegovina alla finale contro la nazionale tedesca, dove l’Argentina perde clamorosamente il titulo nel secondo tempo supplementare. Dopo essere stato svincolato per una stagione intera, il 16 luglio 2021 ha annunciato il ritiro dal calcio giocato a causa di un continuo problema fisico a un fianco che lo tormentava da tre anni.

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Episodio 3: Oscar Ruggeri

Soprannominato El Cabezón (“Il testone”), Oscar Alfredo Ruggeri era un difensore centrale, molto potente grazie alla sua costituzione fisica. Il suo unico obiettivo era annullare il diretto rivale. Nato a Rosario, nota come “patria del football” per i numerosissimi grandi calciatori nati e cresciuti (Messi, Di Maria, Valdano, ecc. ), Ruggeri non giocò mai né nel Central, né nel Newell’s, rendendosi protagonista a Buenos Aires. Prima per il Boca assieme a Diego Armando Maradona, poi per il River Plate nel 1985, per la “gioia” dei tifosi Xeneizes che daranno fuoco alla casa dei suoi genitori.

L’anno dopo è l’anno della consacrazione completa, addirittura con il triplete, vincendo in un colpo solo Primera, Copa Libertadores e Coppa Intercontinentale. Nel 1988 sbarca in Europa per approdare inizialmente nel piccolo club spagnolo del Logrones, in cui milita per una stagione, per poi passare nelle fila del Real Madrid nella stagione 1989-90. A volerlo al Real è il tecnico olandese Leo Beenhakker che però in quell’estate verrà esonerato. Al suo posto arriva il gallese John Toschack, con cui Ruggeri avrà una rapporto quantomeno “conflittuale”. C’erano giocatori di grande personalità e talento come Michel, Schuster, Butragueño, Gordillo e lo stesso Hugo Sanchez, “ma il denaro e le differenze di ingaggio tra di loro parevano l’unica cosa davvero importante”, ricorderà con dispiacere lo stesso Ruggeri.

Dopo la parentesi spagnola, lo stopper di Rosario torna in patria dove veste le maglie di Velez, San Lorenzo e Lanus dopo una brevissima esperienza in Serie A con l’Ancona. Nonostante la sua ottima carriera a livello di squadre di club, Ruggeri deve la sua fama principalmente alle vittorie conquistate da protagonista con la nazionale argentina, laureatasi campione del mondo nel 1986 nel Mundial del Messico, consacrando così un anno assolutamente indimenticabile dopo el triplete raggiunto col River. Ruggeri ha partecipato anche alle successive due edizioni da assoluto protagonista, raggiungendo il secondo posto a Italia ’90.

Nel palmarès vanta anche due vittorie in Copa America, nel 1991 e nel 1993, edizione in cui vince con i gradi di capitano, oltre alla Confederations Cup del 1992. Con i suoi 97 gettoni è stato per diverso tempo il recordman di presenze con la Seleccion prima di essere superato da Simeone prima e da Messi poi.

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Episodio 2: Jorge Valdano

Valdano si era inserito perfettamente nella quinta del Buitre, quella generazione d’oro formata da Butragueño e Michel; con i suoi 188 centimetri, il suo fisico longilineo e la sua intelligenza unita ad una tecnica di base notevole, era definitivamente esploso come talento dopo essere arrivato in Spagna, a soli 19 anni.

Manca un anno ai mondiali del ‘90 e l’attaccante più tecnico, Ramon Diaz, sostanzialmente non può essere convocato perché Maradona lo detesta. Bilardo così propone a Valdano una folle idea: tornare a giocare. Il sì di Valdano giunge al matrimonio di Diego Maradona: è il 7 novembre del 1989, Jorge ha compiuto da poco 34 anni e la sua ultima partita risale al marzo 1987. Con allenamenti intensivi, prima a Madrid e poi nella sede dell’Afa a Buenos Aires, intraprende l’operazione ‘ritorno’. Tuttavia il 5 maggio, in Svizzera, una lesione muscolare durante un allenamento complica il suo sogno.

Valdano continua a crederci e sabato 19 maggio, a pochi giorni dalla lista definitiva; non solo si allena ma partecipa con i compagni a un lavoro di gruppo a Trigoria, sede di preparazione per l’Albiceleste. Bilardo, tuttavia, aveva in realtà già deciso: Valdano non era pronto. Il giorno dopo la nazionale Argentina parte per Tel Aviv per giocare un’amichevole. Anche Valdano prende un volo, ma direzione Madrid, dove lo aspetta sua moglie. Il Ct gli aveva comunicato la sua decisione in una riunione che Jorge definira più tardi come “fredda”. I tempi e i modi sorprendono anche Maradona.

«Bilardo glielo avrebbe dovuto comunicare in un altro modo e senza dirgli che non era pronto neanche per giocare quindici minuti. Sta uccidendo due persone: una lasciandola fuori dal gruppo e me, come capitano».

Dopo la disavventura mondiale, Valdano diventa allenatore e non banale: dopo due stagioni di buon livello con il Tenerife, portato addirittura in Europa, torna al Real e in due anni, oltre a vincere una Liga, è il protagonista dell’esordio di una nuova generazione di calciatori, fra i quali spicca Raul. Quindi una esperienza interlocutoria a Valencia e Florentino Perez lo assume come direttore sportivo del Real. Valdano ‘dura’ quattro anni, e deve assistere alla trasformazione di una squadra di calcio in qualcosa di diverso. I primi anni sono di successi: Zidane da calciatore è l’artefice della Champions League nel 2002, in una squadra che può contare anche su Figo e su Ronaldo Nazario, ma dall’addio di Del Bosque qualcosa si rompe. Nel 2004 viene assunto Carlos Queiroz, allenatore di moda all’epoca, ed ingaggiato Beckham, inaugurando così una nuova era nella quale il marketing diviene più importante del fútbol.

«Superammo il limite il giorno che ingaggiammo Beckham. Lui squilibrò la relazione fra futbol e marketing. È il problema delle rivoluzioni: uno sa come iniziano, ma non sa come vanno a finire».

Torna a scrivere su Marca, e in quegli anni c’è un allenatore che fa parlare di sé per i suoi atteggiamenti e le sue vittorie: si chiama José Mourinho, e diventa la sua antitesi. Valdano non lo ama e non lo nasconde. Valdano, richiamato nel 2009 da Florentino Perez nel Real, ha la spiacevole sorpresa di ritrovarsi un anno dopo Mourinho come mister. Il portoghese non sopporta le analisi calcistiche di Valdano e la sua timidezza nel criticare le scelte arbitrali, e spinge Perez a scegliere fra i due litiganti: il presidentissimo, soggiogato dal fascino dell’autoritario José, decide di fare a meno della fine diplomazia dell’argentino.

«Non ho mai ascoltato, né in pubblico né in privato, una sua frase sul calcio degna di essere ricordata». «Con lui non ho potuto intendermi perché è agli antipodi della mia sensibilità. Intelligenza ed ego sono nemici, e quando si scontrano vince sempre l’ego».

Tratto dal libro autobiografico Futbol, el juego infinito: ‘Per Valdano l’ombelico del calcio quando giocava era il pallone: quell’oggetto tanto semplice e magico, che si consumava nelle lunghissime ore nel quale veniva usato per strada; in cambio ora il centro è diventato il mito del top player e il simbolo più agognato la maglietta delle multinazionali dell’abbigliamento sportivo. Il prezzo delle celebrità, per il calciatore contemporaneo, è l’isolamento. Valdano continua a parlare di calcio, spesso lo fa con un’aria disincantata come consapevole che i cambiamenti possano distruggere l’armonia del gioco’.

“A questo punto l’unica cosa che devono cambiare ancora è il nome del gioco, gli diano un altro nome. Stiamo raggiungendo livelli di ridicolaggine spaventosi. Il calcio è figlio del suo tempo, è un gioco del XIX secolo, è un gioco per certi versi selvaggio e primitivo, che soddisfa la parte più animale dell’essere umano e questa corsa folle per modernizzarlo non porta da nessuna parte. Al contrario, quello che bisogna fare è rispettare quegli elementi che lo hanno fatto eterno, che hanno reso il futbol un fenomeno unico, affascinante, seducente”.

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In collaborazione con Madristagram_italia

Episodio 1: i fratelli Sotero e Eulogio Aranguren.

Argentina e Real Madrid. Un binomio vincente fin dagli arbori del fútbol spagnolo. Fortuna e Gloria deI club de la Capital. Le cronache dell’epoca narrano che i primi giocatori ‘argentos’ a vestire la camiseta del Real Madrid furono gli inseparabili fratelli Sotero e Eulogio Aranguren. Nati a Buenos Aires, si trasferirono prima nei Paesi Baschi e poi nella capitale spagnola, Madrid.

Eulogio era un centrocampista difensivo che giocò 41 partite tra il 1911 e il 1921. Vinse una Coppa di Spagna e 5 tornei regionali. Fu anche il fondatore della sezione di rugby del Real Madrid nel 1924 che poi venne chiusa nel 1948.

Sotero e Eulogio Aranguren in un immagine d’epoca.

Sotero era invece un esterno sinistro. Giocò 60 partite tra il 1911 e il 1918 e segnò 4 gol. Anche lui come il fratello conquistò una Coppa di Spagna e 4 Tornei Regionali. Sotero è considerato il primo idolo della storia del club. Morì di polmonite il 26 febbraio 1922 appena quattro anni dopo aver lasciato il Real Madrid.

La scultura in memoria di Sotero e Eulogio Aranguren, primi idoli del Real Madrid.

La morte di Sotero sconvolse il calcio spagnolo così come quella di un altro idolo del Real Madrid, Machimbarrena (morto nel 1923 di tubercolosi). Per questo motivo il club realizzò in loro memoria una scultura presente anche oggi alle porte dello spogliatoio del Bernabeu.

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