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“DIEGO NON SI SCOPRE, TE LO MANDA DIO” Nelle parole di Francisco Cornejo, il suo primo allenatore nelle “cebollitas” del Argentinos Juniors è condensato tutto ciò che Diego Maradona è stato per il futbol e per un paese intero.

La camiseta numero diez contra todos, one man army. Un sogno partito da Villa Fiorito, una delle più tremende villas miserias che accompagnano il circondario di Baires oltre la General Paz, l’arteria che separa l’Argentina dal mondo a dire dei portenos. Luoghi dove serve sempre guardarsi le spalle e dove un giorno si e l’altro anche, vedi le case alzarsi di un piano, non necessariamente di mattoni, perché di spazio per espandersi non ce né più.

Ed è proprio da lì che nel 1971 dichiarerà urbi et orbi, nella storica intervista di Mancera, i suoi due sogni, che ovviamente esposti da un dio saranno vaticini. Rappresentare la sua Argentina al Mondiale di calcio e vincerlo. NON SOLO PER SE STESSO, MA PARA TODOS. L’umiltà, la disponibilità verso gli altri; quello che Diego aveva con i suoi compagni di equipo e con le tante persone che gli hanno voluto bene, era un profondo legame, non solo affettivo. Era una simbiosi, un osmosi con tutto quel mondo in cui è cresciuto.Dai potreros delle villas, alla Paternàl, alla Bombonera e all’Italia. A Napoli.

MAI NESSUNO COME LUI. Messico 1986 (ma anche il doblete scudetto/coppa ITALIA 1987 col Napoli) resterà per l’eternità qualcosa di immaginifico, immortale, divino. Non solo per il gol all’Italia, la mano de Dios y el barrilete cosmico agli animals inglesi, la doppietta al Belgio o el pase del siglo (perché quello è) contro la Germania. Nella pancia dell’Azteca prima del quarto di finale contro l’Inghilterra non c’è solo il calciatore, c’è l’uomo, il condottiero Maradona. Passa in rassegna i compagni; ad un metro dagli avversari che indica, arringa i suoi:“Questi rappresentano quelli che hanno ucciso i nostri amici, i nostri fratelli. Non possiamo permettergli di vincere. Oggi vinciamo si o si.” Il riferimento era ovviamente alla guerra delle Malvinas, il cui esito negativo per l’Argentina fu l’anticamera della caduta della giunta militare che, strangolata economicamente, aveva provato a toccare i tasti del nazionalismo per tornare a respirare. Gli inglesi e il loro primo ministro Margaret Thatcher non lo permisero e l’Union Jack fu restituita alla manciata di abitanti delle isole contese. Un volo; sarà lo slancio decisivo per un gruppo di giocatori che non si fermerà più fino alla conquista del titolo iridato, il secondo della storia dell’ Argentina. Deciso nel suo epilogo non dai gol di Diego, fondamentale nella giocata che deciderà la gara ovverosia il passaggio più bello del siglo, ma da quelli di Valdano, Burruchaga e del Tata Brown, il sostituto del rivale di Diego per la fascia da capitàn, il sucio Passarella, disintegrato dal carisma del diez oltre che dalla vendetta di Montezuma.

Soldati semplici trasformatisi in generali. Grazie a Maradona e al dottore, al secolo Carlos Salvador Bilardo, eccellente tattico e superlativo psicologo di un equipazo.In una sola parola: atlantesco.

Poi ci sarebbe il resto: le macchinate fatte a più riprese con l’amico massaggiatore CARMANDO, cariche di giocattoli da distribuire ai bambini meno abbienti dei qaurtieri più poveri di Napoli. L’ “amichevole” di Acerra nel gennaio del 1985, nel fango, col leggendario riscaldamento tra le auto nel parcheggio, contro il volere di Ferlaino (patron del Napoli) per raccogliere fondi per un bambino malato. Come promesso il giorno della sua presentazione: “Voglio essere l’idolo dei ragazzi di Napoli che, come me sono cresciuti senza niente”.

Quello che non sapeva però e che di lì a poco sarebbe stato idolo di intere generazioni di fanciulli, non solo partenopei. Lo scrive chi, per poterlo ammirare è andato senza problemi anche in curva ospite a CESENA (lo stadio della mia città) e/o con gli hinchas napoletani a Bologna, Firenze per citarne alcune, senza farne una questione di tifo. Con Diego non ne esisteva l’esigenza.

ERA EL FUTBOL, PARA TODOS. E io, ma non solo io credo, gliene sono e sarò per sempre grato.

Sit tibi terra levis Diego.

di ReydeCopas_mn


calcioargentino.it

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