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Ci eravamo tanto amati e adesso niente più?

Mauro Icardi, che sognava di scrivere il nuovo corso della storia dell’Inter, ha finito per riempire 124 pagine di gol in un libro da 219 volte totali e andare via.

In silenzio, dove silenzio non è dolore o pentimento, ma indifferenza e una dose di rancore ormai così dilazionato nel tempo da non potersi più distinguere nell’universo della rabbia. Non saluta Maurito, che si limita a condividere un’immagine con la casacca del PSG e a riempirla di un cuore rosso e uno blu per festeggiare la vita, con contratto fino al 2024, sotto le Tour Eiffel.

Il resto lo fa lei. Le ultime parole per salutare l’amata Milano, oggi meno importante nell’economia dello spettacolo della famiglia perché Tiki Taka ha chiuso i battenti e la casa del Grande Fratello altrettanto. Sotto il wandismo d’altronde i canali televisivi sono serviti per sostituire le parole di un capitano che fu che in prima persona non avrebbe potuto esprimersi allo stesso modo né avanzare trattative di calciomercato. Tra un’intervista sul divanetto bianco e uno show di luci da studio, si è giocato a rialzo sul rinnovo contrattuale del calciatore argentino, si è discusso della condotta etica dell’Inter rispetto al trattamento riservato al talentoso attaccante e ci si è puliti la coscienza per eventuali saluti.

Arrivederci e grazie.

Il telegramma lo spedisce tramite Twitter la voce ufficiale della dittatura Icardi. Maurito, tu pensa soltanto al calcio. E infatti, fin quando ha pensato al calcio, chi avrebbe mai potuto esprimersi negativamente su di lui? El niño del partido, l’ennesimo argentino destinato agli annali del club, all’Inter si presentò nel migliore dei modi: nella stagione 2014-15 con 22 reti è stato il capocannoniere del campionato di Serie A, a pari merito con Luca Toni, e si è ribadito al termine dell’annata 2017-18 raggiungendo con Immobile quota 29.

Dal calcio italiano verrà per forza ricordato: Maurito è il sesto calciatore più giovane ad aver raggiunto nel massimo campionato tricolore quota 100 gol. Per intenderci, davanti a lui soltanto Meazza (sì, ironia della sorte), Piola, Boniperti, Borel e Altafini.

Una storia da centravanti puro, che comincia il 14 settembre del 2013 sotto i migliori auspici: guidato in panchina da Walter Mazzarri, Icardi segna il gol del pareggio contro i rivali di sempre, la Juventus. A soli 22 anni l’argentino diventa capitano dell’Inter e due anni dopo, il 18 settembre, restituisce ai nerazzurri la gioia di battere i cugini del Milan in un derby. Non accadeva dal 2010. Una traiettoria di convincimento sempre meno confutabile della straordinaria capacità del calciatore, che si afferma ogni volta al di là degli infortuni e delle polemiche che, fin dal primo giorno, non mancano.

Il rapporto con i tifosi nerazzurri non riesce a stringersi definitivamente in un idillio d’amore e infatti quando in epoca Thohir viene pubblicata la sua autobiografia, “Sempre avanti, la mia storia segreta”, comincia la fine della storia tra Mauro e l’Inter. “Mi sento interista dentro e ho un legame forte con i tifosi, con tutti i tifosi, compresi quelli che in questi ultimi mesi mi hanno criticato. Per loro sfortuna si dovranno ricredere. Amo i colori della mia maglia. Neri come la notte, azzurri come il cielo e oro come le stelle”, cerca di chiuderla così ma il 13 febbraio del 2019 arrivano i titoli di coda, ancora supportati da Twitter.

L’Inter annuncia che Mauro Icardi ha smesso di essere il capitano della squadra nerazzurra, dopo il connazionale Javier Zanetti. La fascia passa al veterano Samir Handanovic. Una scelta che fa soffrire indubbiamente il calciatore, ma sulla quale ragiona forse poco: si alza un muro di silenzio, che distanzia definitivamente le due parti. Non c’è più campo da condividere. E infatti, a tal proposito, per la settimana Icardi non risponde alla convocazione per la gara a Vienna contro il Rapid, valida per gli ottavi di finale di Europa League. Un atto di insubordinazione, ennesimo secondo l’etica del club, che la società non può tollerare né nascondere dietro al nome di un infortunio, che sarà venduto all’opinione pubblica da quel momento.

C’eravamo tanto amati, giustamente. Perché Icardi deve tanto all’Inter, ma anche l’Inter a Icardi. Non si sono mai capiti fino e in fondo, sopratutto l’argentino e i tifosi, che da lui pretendevano il massimo ed evidentemente il calciatore la viveva come una pressione negativa, come un giudizio, un atto di sfiducia. Sono sue le reti nei derby, al fotofinish, le doppiette, le triplette, i gol che sono valsi Champions League ed Europa League. Questo non si può dimenticare, ma si può insabbiare: il ricordo sbiadisce, perché il calcio funziona a piccole dosi di gioia declassate davanti ai momenti di disappunto, delusione, tristezza e tradimento. Il calcio è fatto di moralismo e pagelle a fine partita, a fine, anno, a fine carriera.

Il 6 politico dopo Parma-Inter del 9 febbraio del 2019 per i sostenitori nerazzurri è stato l’ultimo atto di disamore di Icardi verso una maglia, che ormai stava sfilando dal corpo e dal cuore. Ha perso di credibilità e, oggi, allontanandosi definitivamente da Milano pare aver perso a titolo definitivo la sua seconda casa.Un argentino destinato ad essere ricordato per la facilità con cui sarà, incredibilmente, dimenticato.

di Sabrina Uccello


calcioargentino.it

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