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[1986] Il contesto argentino:

Nel mezzo del processo di democratizzazione del Paese dopo 7 anni di dittatura militare che inizio’ nel 1976, l’Argentina vive il suo miglior momento calcistico di sempre durante la crisi economica più importante della sua storia post peronista.

La sconfitta nella guerra delle Malvinas nel giugno 1982 aveva sancito di fatto la fine dell’epoca militare con conseguenze sociali ed economiche disastrose. Fu incaricato l’interrino generale Reynaldo Bignone per traghettare il paese fino alle elezioni vinte nell’ottobre 1983 da Raul Ricardo Alfonsin, il padre della democrazia argentina, che si presento’ con lo slogan «il popolo argentino si nutre e si educa con la democrazia».

L’Argentina era in pieno default economico, tanto da indurre il ministro dell’economia Juan Sourrouille a proclamare il famoso ‘Plan Austral’, ovvero il cambio monetario dal PESO alla nuova moneta l’AUSTRAL per contenere un inflazione spaventosa che aumentava ogni giorno dell’1%. Il PESO fu ripristinato solo durante il governo successivo nel 1991 sotto la presidenza di Carlos Menem. L’iperinflazione di quegli anni, toccò il 320% nel 1985….praticamente, quando si entrava in un supermercato, il prodotto subiva un aumento dal momento in cui lo si metteva nel carrello a quando si arrivava in cassa..

Furono anni macchiati dai saccheggi ai negozi di generi alimentari e a supermercati: lo stipendio di un argentino medio non permetteva arrivare al 10 del mese. San Miguel, nella provincia nord della capitale, fu la cittadina simbolo degli scontri in quegli anni.

[1986] La crisi e il fútbol

La crisi obbligo’ le squadre di calcio ad attingere principalmente dal proprio vivaio, limitando ai minimi storici l’arrivo di giocatori stranieri nel campionato argentino e a spingere gli stessi argentini a partire all’estero, in quello che fu l’inizio della diaspora di talenti verso il vecchio continente.

La squadra che piu patì di questa crisi fu il Boca Juniors. Già nel 1982 non aveva potuto riscattare il cartellino di Maradona in prestito dall’Argentinos Juniors, che così lo cedette, prima del Mundial 1982, al Barcellona di Udo Lattek. Il Boca Juniors visse la peggior crisi istituzionale della sua storia, tanto da venire salvato in extremis dalla gogna del fallimento.

Grazie all’intervento del procuratore Coppola, si compì uno dei più grandi ‘tradimenti’ della storia del calcio argentino: il passaggio di Ruggeri e Gareca al River Plate nel febbraio 1985. Il Cabezon e il Tigre erano le due stelle del vivaio boquense e come il resto della squadra, ma da 8 mesi non percepivano la stipendio. Il centrale e l’attaccante furono i capi della rivolta dello spogliatoio Xeneixes, che porto’ alle dimissioni del presidente Corigliano. Durante la presidenza ad interim di Polak (il Boca cambio’ 3 presidenti in meno di 6 mesi) venne finalmente conclusa il passaggio al River Plate.


L’idea di prendere i due giocatori fu tutta del presidente del River che in un’amichevole a Mar Del Plata persa 3-0 contro il Boca (con tripletta di Gareca) disse «Per battere questo Boca bisogna togliergli alcuni giocatori» e sapeva bene che i due giocatori cardine erano senza contratto da parecchio tempo.

Nonostante i giocatori fossero liberi dal punto di vista contrattuale, il ‘Padrino’ del calcio argentino Julio Grondona, intervenne nella vicenda e con la pretesa di evitare un conflitto tra i due club, ordinó a Santilli di rimborsare il neopresidente entrante del Boca (Antonio Alegre) con 120.000 USD più due giocatori: il «Chino» Tapia e il «Vasco» Olarticochea.

Nota a margine: Una volta ufficializzato il passaggio di Ruggeri al River, alcuni balordi bruciarono la casa del Cabezón ferendo anche sua madre. Il giocatore andò addirittura dal capo della barrabrava del Boca ‘Abuela’ , il quale gli ‘assicurò’ la totale estraneità della tifoseria organizzata in quella vicenda. Per rendere l’idea di quello che era il Boca in quel periodo, bastano le parole lapidarie di Ruggeri dopo qualche giorno al River: «Sono passato da una squadra dove mi davano le maglie senza numero, dove rubavano anche le porte, a una squadra europea».

[1986] La dirigenza River

Eppure, se il Boca piangeva, il River non rideva. Hugo César Santilli assunse nel 1984 la presidenza del River al posto dell’uscente Rafael Aragón Cabrera, che aveva diretto il club per 10 anni, record tuttora imbattuto. Se è vero che con Cabrera ebbe fine un digiuno di 18 anni senza titoli nel 1975, gli ultimi anni del suo mandato furono marcati da due importanti errori: il primo, pagare il passaggio di Kempes per 2,5 milioni di dollari (all’epoca una follia) e il secondo, non aver concluso l’acquisto di Maradona.

Hugo César Santilli

Proprio il passaggio del Pibe de Oro agli acerrimi nemici gialloblú, spinse Santilli a candidarsi alle elezioni del 1983, perché lui era un tifoso sfegatato del River Plate. L’epoca triste delle ‘gallinas’ lo aveva colpito terribilmente e particolarmente l’immobilismo dei dirigenti di quell’epoca che permisero al presidente del Boca Armando di festeggiare una vittoria del Boca al Monumental, calciando un rigore verso i tifosi xeneixes, umiliando tutta la gente del River allo stadio. «Sarò presidente del River, vincerò un campionato argentino facendo il giro del campo alla Bombonera e alzerò quella benedetta Copa Libertadores» disse l’allora l’imprenditore edile, laureato in economia e che qualche anno dopo diventava pure presidente del Banco Nación (banca nazionale argentina) dal 1989 al 1991.

[1986] La situazione del River

Il titolo sfuggiva al River ormai dal 1981, quando c’era ancora Kempes in campo e Di Stefano allenatore in panchina. Ma proprio quell’anno, a causa di un grosso dissidio con ‘El saeta rubia’ , l’idolo della squadra Alonso lasciava la squadra per andare al Velez.


Hugo Santilli vuole diventare dirigente del River. L’idea gli viene dopo la sconfitta del 1966 contro il Peñarol in finale: il desiderio si trasforma in decisione dieci anni dopo, quando il River perde la seconda finale di Libertadores con il Cruzeiro.

Con l’appoggio dei suoi «uomini fidati» Di Carlo e Sobbag, crea la lista FRENTE RENOVADOR RIVERPLATENSE e si candida alle elezioni del ottobre del 1983, vincendole, con una maggioranza schiacciante davanti a David Davicce (che sarà presidente negli anni 90). La gente voleva un cambio dirigenziale dopo la crisi istituzionale del club negli anni precedenti e dopo gli errori di mercato (Alonso, Maradona) di Cabrera. Nelle preferenze dei soci delle elezioni del 1984, il presidente in carica arriva terzo, distanziato da un distacco abissale. Ecco i dati di quella storica votazione: 6.273 soci votanti: Santilli 3.979, Davicce 1.066, Cabrera 950.

Anni dopo Santilli, dopo aver fatto il suo dovere nel club, lascerà l’incarico al suo vice nel 1989, per rispondere alla chiamata del presidente della Republica Carlos Menem, alla guida della Banca Nazionale Argentina.

Tra il 1982 e 1983 ci furono una serie di decessi terribili nel mondo River: muoiono Stanislao Cap e Oscar Trossero, rispettivamente allenatore e attaccante, quest’ultimo deceduto negli spogliatoi per aneurisma cerebrale dopo una partita contro il Rosario Central. Sempre nel 1983 muore tragicamente Angel Labruna, l’idolo principe della storia centenaria del River, che stava allenando l’Argentinos Juniors, ma che era la priorità del presidente Santilli per il 1984. Sul punto di morte, «Angelito », nella sua stanza d’ospedale disse a Santilli che il River aveva bisogno di un emblema per la risurrezione e quello era Alonso…. «Promettimi una cosa. Che Beto tornerà al River».

L’unica nota lieta del 1983, fu l’esordio di un giovane uruguaiano proveniente dal Wanderers di Montevideo: un tal Enzo Francescoli.

Per il resto, la situazione è drammatica: le casse del club sono vuote, i giocatori scioperano per 47 giorni per problemi di pagamenti e la squadra si salva dalla retrocessione per il rotto della cuffia. Ma già con il ritorno di Alonso, il River tornerà a lottare per il vertice.

[1986] Gli anni dell’Argentinos Juniors, Ferro, Newell’s e Selección

Le squadre che dominavano le scene nazionali non erano quelle storiche ma quelle di « quartiere » della capitale: il Ferro Carril Oeste di Carlos Griguol, l’Argentino Juniors di José Yudica. Il punto più alto della sua storia l’Argentinos lo tocca in quegli anni quando vince la Copa Libertadores del 1985, ma perde la finale della Coppa Intercontinentale conto la Juve di Platini dopo una partita leggendaria passata alla storia e terminata ai rigori. Fino a quell’epoca, la storia dell’Argentinos era stata quasi inesistente. Una squadra conosciuta per essere il «vivaio di campioni» o meglio il «vivaio del mondo, el semillero del Mundo»: MaradonaRedondoRiquelmeCambiassoD’Alessandro.. solo per fare qualche nome del passato, eppure, la squadra é stata sempre una società sportiva molto piccola, senza una vera e propria tifoseria nel momento della sua più grande gloria e soprattutto senza uno stadio proprio!

Si, perché per 22 anni il Bicho Colorado (il soprannome del Argentinos Juniors) gioca in trasferta le partite casalinghe. Nel 1981, l’Argentinos lascia il proprio stadio per rinnovare una struttura fatiscente che era stata costruita negli anni 40 sperando di pagare i lavori di ristrutturazione con i soldi derivanti dalla cessione di Pasculli (Lecce) e soprattutto dalla vendita di Maradona al Barcellona. Ma i 420 milioni di pesetas del cartellino di Diego sono utilizzati per fare mercato e mettere le basi di una squadra che scrisse la storia: infatti arrivano i vari Vidallé, Villalba, Olguín, Videla, Erreros, Castro, JJ Lopez che insieme ai prodotti del vivaio Checho Batista e Borghi fecero innamorare tutti gli argentini. Era una squadra con 11 argentini….11 su 11. Curioso il fatto che l’allenatore Labruna nel 1982 scelse di giocare le partite casalinghe nello stadio dei rivali del Ferrocarril Oeste: lo stadio Ricardo Etcheverri aveva dimensioni più grandi rispetto allo stadio del Argentinos Juniors (5 metri in più di lunghezza e 4 in larghezza).

Per ironia del destino, il Bicho vinse 3 titoli proprio sul campo degli eterni rivali «verdolagas». Il Ferro, per i tifosi «el Verde» nemico storico per motivi di vicinanza del Argentinos Juniors, visto che il quartiere di Caballito confina a sud con quello della Paternal, non ebbe il successo internazionale del rivale vicino, ma riuscì nell’impresa di vincere due campionati locali con una squadra modesta, in cui le individualità di spicco erano i difensori Garré (recordman di presenze all time del Verde e convocato al Mondiale in Messico) e quel Hector Cuper, che diventerà ben conosciuto dai tifosi italiani.

Il Newell’s Old Boys stava lottando per la testa della classifica grazie al buon lavoro in panchina di Jorge Solari, sfiorando il titolo nazionale per 2 anni consecutivi. Con il ritorno alla guida tecnica del Piojo Yudica, la Lepra riuscirà qualche anno dopo a vincere un campionato storico con una squadra fatta totalmente giocatori usciti dalle giovanili del club, molti giovanissimi e alcuni di ritorno da altre squadre. Da quel vivaio, usciranno giocatori che fecero una carriera brillante in Europa, come ad esempio Sensini, Abel Balbo, Dezotti e soprattutto Batistuta.

Il 1986 é l’anno storico per l’Argentina che vince il secondo mondiale in Messico guidato da un Maradona nel pieno della sua maturità calcistica, ma lo é ancora di più per i milioni di tifosi del River Plate (argentini e non) sparsi per il mondo. Dell’11 titolare che si consacra campione all’Azteca, 8/11 dei giocatori giocava in Argentina e la squadra miglior rappresentata era il River con 3 giocatori (Pumpido, Ruggeri e Henrique). I 3 invece che giocavano in Europa (Maradona/Napoli, Burruchaga/Nantes e Valdano/Real Madrid) furono quelli che decisero la finale con i loro gol e assist.

Argentina di nuovo mundial, dopo soli otto anni

Corsi e ricorsi storici: per vincere un Mondiale, la Seleccion deve avere la spina dorsale difensiva del River: nel 1978 in Argentina fu Pato Fillol e Kaiser Passarella, nel 1986 in Messico Pumpido e Ruggeri, che giocarono per intero i 630 minuti delle 7 partite da protagonisti, senza saltare un solo minuto (al pari di Maradona e Valdano). Pumpido era arrivato al Mondiale da titolare indiscusso, titolarità che mantenne fino all’infortunio contro l’URSS nel Mondiale 1990 in Italia.

Nery Pumpido

Il suo Mondiale fu regolare, senza sbavuture e senza parate particolarmente complicate. Ruggeri, con l’infortunio della ultima ora di Passarella, rimaneva il «capitano in campo e del gruppo» guidando una difesa che vide Cuciuffo e Tata Brown all’apice della loro modesta carriera. Diversa la parabola del Negro Henrique, che inizialmente partì dalla panchina, saltando la prima partita, ma che poi divenne titolare da Bilardo nella fase decisiva a eliminazione diretta. Henrique era il motorino del centrocampo con BatistaGiustiOlarticocheaBurruchaga fu anch’egli determinante dando grande equilibrio alla squadra che poi ‘svoltò’ nella famosa partita contro l’Inghilterra. (partita dove proprio il Negro si vanta di aver passato il pallone a Maradona nel gol Secoloparliamo di un passaggio di un metro..).

L’empatia tra Diego e Henrique (dentro e fuori dal campo) è sempre stata forte, tanto da spingere Maradona ct della Nazionale a portarlo con se come aiutante e uomo di fiducia al Mondiale del Sudafrica del 2010.

Ruggeri e Henrique

Ma soprattutto il 1986 é la consacrazione sudamericana e mondiale per la Banda.

Nel lasso di tempo di 8 mesi (dal 6 di aprile al 14 dicembre), la compagine del presidentissimo Hugo Cesar Santilli fece quello che oggi chiameremmo triplete: campionato 1985/1986 nella sua nuova formula, Copa Libertadores e Coppa Intercontinentale.

Con matematica regolarità era giunta la terza finale. Matematica, un eufemismo, visto che il River dagli anni 60 ai 90 gioca sempre la finale con gli anni che finivano in 6 (1966, 1976, 1986, 1996). Questa volta però andrà diversamente, in panchina ci sarà l’uomo che riscriverà la storia del River Plate: Hector Rodolfo Veira, detto «Il Bambino».

Il ‘Bambino’ Veira

[1986] Il personaggio Veira

Di Veira, ci vorrebbe un libro intero per narrarne la sua vita, la personalità e i milioni di aneddoti che ne hanno caratterizzato la carriera da giocatore prima, e allenatore successivamente. Se poi non avesse fatto il calciatore, probabilmente avrebbe lavorato nello spettacolo o nel cinema, sua grande passione, talmente era un personaggio.

Los Carasucias de San Lorenzo

E’ stato un grande centrocampista offensivo, integrante dei 5 «Carasucias» (facce sporche) che sfornò negli anni 60 le giovanili del San Lorenzo. La sua carriera da giocatore risentì e non poco dalla sua vita personale poco professionale. Gran donnaiolo, di lui stesso dice: «Ho sempre dormito molto poco» perché amava passare le notti in discoteca, dato che, essendo un giocatore di talento, non aveva bisogno di correre sul campo. A quello ci pensava il suo compagno ’Oveja’ Telch, a cui rispose una volta in un Boca-San Lorenzo ad un rimprovero perchè non tornava in fase di copertura: «Corri tu che vai a dormire alle 8 di sera» …ecco, questo era il Bambino Veira.

Addirittura all’epoca che giocava all’Universidad di Santiago del Cile, quando faceva freddo e pioveva, chiedeva espressamente all’allenatore Luchito Ibarra di rimanere in panchina, possibilmente con una coperta addosso… La sua socialità e la sua arte dialettica lo resero simpatico anche agli acerrimi nemici dell’Huracan, anche per via della sua amicizia del pugile Bonavena, che era fanatico del Globo. Tra le tante passioni del Bambino, c’era anche la boxe.

Ma perché l’apodo ‘Bambino’ ? Come per ogni giocatore che si rispetti, in Argentina è cosa buona e giusta avere un soprannome che ti rimane a vita. ‘Bambino’ fu il soprannome che gli venne affibbiato dal suo compagno di squadra (e suo idolo) nel San Lorenzo, il veterano Oscar Rossi, durante un torneo in Italia nel 1963. Veira, con i suoi 17 anni, era il più giovane della squadra e siccome in quel periodo era in auge Gianni Rivera (battezzato il Bambino D’Oro dal giornalista Gianni Brera) e il suo modo di giocare ricordava vagamente quello del milanista, diventò ‘il Bambino’ per i giornalisti e per i compagni di squadra.

Purtroppo la sua carriera da allenatore, più tardi nel 1991 mentre allenava il Velez Sarsfield, si dovette interruppere per un episodio scabroso e mai del tutto chiarito: l’accusa di stupro su un minore di 13 anni.

Il 17 ottobre 1987, mentre si trova nei pressi di casa, un ragazzino di nome Sebastian gli si avvicinò chiedendo un autografo. Secondo l’adolescente, Veira lo invito’ a salire nel suo appartamento perchè la penna non funzionava. Per il tecnico la motivazione era per regalargli una bandierina del San Lorenzo, ma per il minore invece fu per commettere la violenza. Il 30 agosto 1991 dovette interrompere la seduta d’allenamento del Fortin, perché risultò condannato a 6 anni di reclusione, da scontare nel carcere di Devoto. Nonostante fu parzialmente scagionato un anno dopo (l’accusa di stupro cambiò in tentativo di stupro), questo episodio macchio’ la sua immagine, anche se non gli impedì di essere protagonista assoluto nei talk show argentini, da più di vent’anni.

[1986] Veira al River, l’inizio di tutto

Il Bambino arrivo’ al River a metà del 1984. Arrivo’ con molto scetticismo, ereditando una squadra che arrivava da un quart’ultimo posto nel Metropolitano 1983 che spinse i dirigenti a cacciare l’allenatore Luis Cubilla. Bisognava rialzare la testa perché in caso di un’altra stagione fallimentare il River rischiava la retrocessione per il promedio. Il Bambino, che era conosciuto per le sue interviste colorite, si presento’ a Nunez dicendo «Non voglio che si parli di salvezza, voglio che i tifosi applaudano i miei ragazzi come se fosse al Teatro Colón». Detto fatto: nel 1984 arriva un quarto posto, dove perde solo in semifinale contro il Ferro. E l’anno dopo arriva terzo nel Campionato Nacional 1985 (concluso nel settembre 1985). Hector Veira è pronto per la leggenda.

Nel 1985, la AFA decide di cambiare il formato del campionato argentino di Prima divisione, copiando il modello europeo che organizzava le stagioni calcistiche a cavallo fra due annate e con un girone di andata e uno di ritorno. Il campionato inizio quindi a luglio e terminava ad aprile del 1986

Veira e Di Stefano

[1986] Prima tappa: Campionato

L’inizio campionato del River fu davvero una prova di forza contundente! Di rilievo, ci furono le goleade contro il Newell’s per 5-1 in casa e all’Amalfitani per 4-1 contro il Velez e soprattutto la vittoria contro il Boca al Monumental il 27 ottobre 1985. Quel giorno, tornava da avversario una delle massime leggenda del mondo River: Alfredo Di Stefano, infatti, era da qualche mese sulla panchina dei Xeneixes. Non è una bella partita, poche emozioni, ma buone per i tifosi millonarios tra cui la splendida azione che porta in vantaggio il Millonarios: serie di passaggi e triangolazioni veloci tra FrancescoliGorositoMorresi e Alfaro, con conclusione in diagonale di Montenegro che beffa l’incolpevole Gatti, 1-0.

Non succede nulla nella ripresa, se non la caccia all’uomo su Ruggeri da parte di Passucci, che infatti viene espulso a venti minuti dalla fine per un calcione ai danni del Cabezon. Erano le scorie derivanti dalle vecchie ruggini, risalienti al periodo in cui erano compagni di squadra al Boca (quando i giocatori scioperarono per la mancanza di pagamenti degli stipendi), provocando la frattura dello spogliatoio bostero in 2 clan: quello con appunto PassucciGatti e Mouzo (i senatori dello spogliatoio) e quello con i ribelli Gareca e Ruggeri.

La famosa patada di Pasucci a Ruggeri

Fu un campionato dominato dall’inizio alla fine e che il River vinse a 5 partite dalla fine e con 10 punti di vantaggio sul duo Newell’s Old Boys e Deportivo Español, questa, la vera sorpresa del campionato. Squadra fondata da immigranti spagnoli negli anni 50 nel quartiere di Flores (a poche centinaia di metri dallo stadio del San Lorenzo), che dopo 15 anni in prima divisione, scomparirono letteralmente dal calcio importante.

[1986] La Bombonera espugnata

Ma la ciliegina sulla torta del campionato 85/86 , fu la vittoria del secondo superclasico della stagione, quello alla Bombonera il 6 aprile 1986 con doppietta del Beto Alonso.

E’ la partita storica del pallone arancione. L’Adidas accetta la richiesta del portiere del Boca, il famoso Hugo Gatti. Il Loco temeva che il campo da gioco pieno di «papelitos blancos» potesse impedire la visione del pallone normale. Ne fece anche una questione di cabala, ricordando che tanti anni prima a Kiev, sotto la neve, giocando con un pallone arancione riuscì a parare tutto in un URSS-Argentina 0-1. Il Beto Alonso (grande provocatore) rispose che qualsiasi fosse stato il colore del pallone, el Loco lo avrebbe dovuto raccoglierlo in rete.

Il Boca Juniors di quell’anno era in piena transizione, guidato Marito Zanabria alla prima esperienza come allenatore dopo una lunga carriera da trequartista, spiccavano in squadra Gatti, in difesa il ruvido Jorge Higuain (il futuro papà di Gonzalo, nato quando il padre si trasferì in Francia a Brest l’anno dopo), a centrocampo il veterano Passucci, il boliviano Melgar, l’ex Olarticoechea e i giovani ex Atlanta Graciani e Rinaldi coadiuvati dall’ex con il dente avvelenato Tapia.

La partita si giocò in una Bombonera con il settore ospite strapieno, perché i tifosi riverplatensi riempierono all’inverosimile i 2 anelli a loro riservati. Erano in gran parte, gli antenati dei Borrachos del Tablon, gruppo che si formo’ a fine anni 90, ma i capi rimanevano sempre gli stessi: BananaMatutitoHe-man divisi in due gruppi: La Banda de Palermo e la Banda de Belgrano e spesso si vedeva lo striscione Matutito presente, in memoria di Matute (fratello di Matutito) morto in uno scontro con tifosi del Boca nello stadio del Velez. Per incutere timore ai giocatori del River, la dirigenza del Boca mise a fare i raccattapalle alcuni barrabrava… ma la squadra del Bambino non si fece intimidire, avendo attributi d’acciaio.

La partita inizia agli ordini dell’arbitro Lamolina (che accetto’ di giocare con questo strano pallone) con il River Plate schierato con il classico 4-3-3 con l’unica defezione di Gordillo sostituito da Saporiti nel ruolo di terzino destro.

Il gol del vantaggio arriva su colpo di testa derivante da una punizione di Alfaro al 30’ del primo tempo con il pallone arancione, mentre il raddoppio lo segna sempre il Beto a 5 dalla fine (e con il River in 10 per l’espulsione di Montenegro) ..con il pallone bianco, perché misteriosamente, la ripresa si gioco’ con il pallone bianco. Oltre che al mattatore AlonsoPumpido si meritò gli applausi facendo una grande parata su Graciani a fine primo tempo. Notevole fu la partita anche di Morresi (che il Bambino soprannominava Mozart) che fece ammattire il giovane Di Natale.

Beto Alonso, l’eroe della Bombonera

Fu un giorno storico, sebbene già campioni in anticipo, il River umiliò l’antico rivale nella loro cancha, eseguendo addirittura a fine gara la cosiddetta ‘Vuelta olímpica’, il giro trionfale del campo. Era la seconda volta nella storia che accadeva, con la differenza che la prima nel 1955, per carattere di ordine pubblico, i giocatori riverplatensi poterono festeggiare solo negli spogliatoi. Si avverò così la prima metà della profezia del presidente Santilli, proferita qualche anno prima “Sarò presidente del River, vincerò un campionato argentino facendo il giro del campo alla Bombonera”.

Per la rimanente parte “e alzerò quella benedetta Libertadores” bisognerà aspettare qualche mese più tardi.

Nel 2016, in ricordo di questa partita, L’Adidas fece una maglia del River arancione con la foto del pallone sul petto.

Il goleador di quel campionato fu un giovanissimo Enzo Francescoli con 25 reti, le cui prestazioni attirarono l’attenzione della giovane dirigenza del Racing Club de France targato Matra, appena promosso in prima divisione francese e che che porto’ via il Principe prima che iniziasse la Copa Libertadores.

Con la pausa del Mondiale in Messico, oltre a Francescoli, andò via anche il suo compagno d’attacco Luis Amuchastegui all’America di Città del Messico. Si pensava così che il miniciclo del Bambino potesse concludersi prima dell’inizio della fase finale della Libertadores 1986: niente di più falso! 

Dopo la parentesi mondiale al River arrivano niente meno che: Nelson Gutierrez (che formerà con Ruggeri una coppia difensiva straordinaria), Antonio Alzamendi, il Bufalo Funes e Ramon Centurion (proveniente dagli odiati cugini gialloblù). Ma soprattutto, nel River rimaneva ancora il carismatico Ruggeri, praticamente un secondo allenatore in campo. Il Cabezón ebbe da subito un feeling pazzesco con il Bambino, una relazione durata negli anni e continuata anche dopo la carriera calcistica di entrambi. Successivamente reinventati commentatori televisivi, ‘coprirono’ il Mondiale 1998 per la televisione argentina e parteciparono ad altre trasmissioni televisive, raccontando a loro modo, i loro mille aneddoti.

Quando Veira chiamo’ Ruggeri dopo la finale vittoriosa mondiale Argentina-Germania dell’Azteca per complimentarsi con lui e con gli altri giocatori del River campioni del mondo, temeva un appagamento della squadra. Ruggeri rispose che stava già pensando come vincere la Libertadores e l’Intercontinentale con la Banda. Questo spinse il Bambino ad accogliere la squadra al primo allenamento con una lavagna con la scritta: «rumbo a Tokyo».

Curioso, come l’Argentina, al bordo del collasso economico vince 3 coppe Libertadores di fila. Nel 1984 l’Independiente del Pato Pastoriza conquista la sua Séptima meritandosi il soprannome di Rey de Copas, nel 1985 ecco l’Argentinos Juniors di Yudica per la prima volta, mentre nel 1986..


[1986] Seconda tappa: la Copa Libertadores

Nella ventisettesima edizione della Libertadores 1986 partecipano 19 squadre raggruppate in 4 gironi di 4 squadre e 1 di 2 squadre, più il detentore, qualificato d’ufficio alla seconda fase.

La vincitrice dell’edizione precedente era stato l’Argentinos Juniors che aveva avuto la meglio nei confronti dell’America de Calí solo dopo i rigori, nello spareggio e dopo le due finali di andata e ritorno.. El Bicho colorado conquistava così agonicamente la sua prima (e unica) Libertadores della sua storia.

La novità di questa edizione del 1986, è l’esclusione delle squadre venezuelane dalla competizione, per una sanzione amministrativa della FIFA nei confronti della Federazione venezuelana. Per questo motivo partecipano solo 9 paesi: Argentina (RiverBoca e Argentinos/campione), Uruguay (Wanderers e Penarol), Paraguay (Olimpia e Nacional), Bolivia (Bolivar e Jorge Wiltermann), Cile (Cobresal e UnivCatolica), Perù (Universitario e UnivTecnica), Ecuador (Barcelona e DepQuito), Brasile (Coritiba e Bangu) e Colombia (América e Dep. Calí). L’accordo di quel periodo obbligava le due squadre di ogni paese a incontrarsi direttamente nel primo girone, così da lasciarne solo una per il proseguo del torneo. L’intento era quello di evitare clásicos nelle fasi decisive.

Furono 65 partite concentrate in 4 mesi e se pensiamo che il Mondiale in Messico era finito il 29 giugno, alcuni giocatori (in particolare i nazionali argentini del River) non ebbero neanche il tempo di fare un giorno di ferie, visto che la prima partita si giocava già il 9 luglio.

Il sorteggio del primo turno aveva delineato un girone d’inferno: Boca, RiverPeñarol e Wanderers! Un vero gruppo della morte che il River, senza pensarci troppo, iniziava pareggiando alla Bombonera in uno dei tanti superclasicos di Copa.

Succede tutto nel primo tempo: al 33’ il del primo tempo va in vantaggio il Boca con Graciani, che viene atterrato in area da Ruggeri mentre si stava involando da solo contro Pumpido. Graciani spiazza il portiere campione del mondo dagli undici metri, 1-0. Al finire del primo tempo, sugli sviluppi di una punizione al limite dell’aerea, “Tapón” Gordillo mette sui piedi di Alfaro il pallone dell’1-1 che segna sotto la curva del River festante. Finirà pari e sarà l’unico pareggio in quel girone.

Successivamente il rullo compressore del Bambino vinse con prepotenza tutte e 5 le partite rimanenti, classificandosi così nel girone con 11 punti tra cui, vale la pena ricordarlo, battendo nuovamente il Boca il 20 agosto 1986 1-0 con gol del “Hormiga” Alzamendi. Questo superclásico rimase negli annali non solo perché il River elimina i cugini gialloblú, ma soprattutto per l’apparizione di uno dei fratelli Maradona che gioca qualche manciata di minuti.. Raúl Alfredo detto Lalo. Giocava.. un eufemismo data la nobile genetica del Pelusa. Prendendo una citazione a riguardo di Federico Buffa si poteva tranquillamente dire che «il DNA fa quel cazzo che vuole..» Lalo infatti da calciatore ebbe una carriera a dir poco deludente.

Raúl ‘Lalo’ Maradona

Era una macchina perfetta il River diceva il Bambino: «Catenaccio offensivo» e «Attacco infernale». Il modulo era il 4-4-2 e la formazione base era composta da: Nery PumpidoGordilloGutierrezRuggeriMontenegro; ‘Negro’ Henrique, ‘Tolo’ GallegoBeto AlonsoAlfaroCenturion e Alzamendi. Oltre ai titolari, di quel gran equipo, il River poteva sfoggiare anche una panchina di gran livello. C’erano infatti, Goycochea, che già si alternava a Pumpido (e che sostituirà anche in nazionale nel Mondiale 90 in Italia), Funes, che giocò la parte decisiva della Libertadores, oltre al ‘Pipo’ GorositoPedro Troglio e Sperandio, che diederono anche loro un gran contributo alla causa del Bambino. Dalle giovanili poi si stava affacciando in prima squadra un attaccante dalle grandi promesse: ‘el Pajaro’ Claudio Paul Caniggia. Una squadra 100% argentina!! Infatti nessun straniero faceva parte di quella rosa di giocatori che inizio’ il secondo semestre della stagione.

Qualificato alla fase successiva, il River ora deve superare uno dei 2 mini gironi di 3 squadre, chiamati SEMIFINALE A e SEMIFINALE B, la cui la miglior classificata si qualificava alla finale. Il sorteggio dà i suoi verdetti: Nel girone del River Plate c’è il campione in carica Argentinos e il Barcelona di Guayaquil.

Hector Veira vince nettamente contro gli ecuadoriani del Barcelona sia in casa che al Modelo, ma contro Il Bicho perde al Monumental 2-0 (Castro e Videla). Sarà di fatto l’unica sconfitta in quella coppa. Nella partita di ritorno si pareggia all’Amalfitani, dove il Bicho gioca le partite di coppa. Fortunatamente per la Banda, l’Argentinos perde a sorpresa in Colombia e soprattutto perde la clamorosa occasione di andare in finale.

La situazione è ora la seguente: sia l’Argentinos che il River hanno 5 punti in classifica: si deve giocare dunque lo spareggio in partita unica, nello stadio del Velez (che per l’occasione registra il record di affluenza).

Il Bambino sapeva che contro quella ‘macchina’ dell’ Argentinos l’unico risultato che si poteva sperare era il pareggio. E Per la differenza reti (+ 4 contro + 2 del Bicho) era in vantaggio il River. In caso di parità nei tempi regolamentari il regolamento era chiaro: tempi supplementari ma senza rigori. Poi sarebbe bastata la differenza reti.

L’Argentinos domina la partita ma non riesce a scardinare la difesa Millonaria, dove Gutierrez sfodera una prestazione mostruosa. Era per partite come queste che il River aveva voluto il ‘Tano’ dal Atletico Nacional. La sua esperienza maturata nelle file del Peñarol (dove vinse la Libertadores nel 1982) era quello che serviva nelle ruvide partite di coppa, dove la difesa dei Millonarios appariva come un muro impenetrabile. La partita terminava 0-0 e il River poteva finalmente staccare il biglietto per l’ultimo atto della Copa Libertadores.

E’ la terza finale della storia del River Plate dopo le due precedenti perse. Ora bisogna incontrare una squadra colombiana con forte accento albiceleste. Nell’America de Cali, infatti, giocano 3 argentini: Julio César FalcioniCarlos Ischia e il l’ex ‘Tigre’ Gareca. Curiosamente, tutti e 3 giocheranno e alleneranno sia il Velez Sarsfield che il Boca Juniors. (Da segnalare anche la presenza del paraguaiano Cabañas che avrà un passaggio anche lui nei Xeneixes).

[1986] I cartelli narcos colombiani

Quella fu l’epoca dorata dei club colombiani: a Cali c’erano l’America e il Deportivo, a Medellin il Nacional e a Bogotá i Millonarios. L’America apparteneva al fratelli Orejuela, boss narcos a capo del cartello di Cali che investirono nella squadra un’ingente parte di capitale, riciclandoli di fatto dai loro loschi traffici. Riuscirono a portare così i “rojos” a giocare 3 finali consecutive di Libertadores (1985, 1986 e 1987), ma le persero tutte.

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I fratelli Gilberto e Miguel Arejuela, boss e proprietari dell’ America de Cali

Il Nacional invece riceveva finanziamenti dal famosissimo boss del cartello di Medellin, quel Pablo Escobar, che fu famoso in tutto il mondo per i suoi traffici di droga. Il Nacional fu la prima squadra colombiana a vincere la Copa Libertadores nel 1989. Rimane un aneddoto assai scabroso di quell’edizione. Nella semifinale di ritorno tra Nacional de Medellín e Danubio di Montevideo l’arbitro argentino Carlos Espósito e il suoi collaboratori ricevettero nella loro camera d‘albergo a Medellín la “visita” di un commando di 5 uomini di Escobar che intimò loro: “Domani deve vincere il Nacional, ordine di Pablo Emilio” mostrando loro 3 valigette con 50.000 dollari. Si può solo immaginare in che stato d’animo scese in campo la terna arbitrale. Addirittura rientrando negli spogliatoi dello stadio Atanasio alla fine del primo tempo, gli arbitri trovarono 3 corone funebri come avvertimento!! Per loro fortuna, il Nacional vinse 6-0.


[1986] La finale Libertadores

Prima della finale, bisognava decidere chi giocava in casa la partita di ritorno. All’epoca la Conmebol permetteva accordi tra le squadre per decidere il luogo dell’andata e del ritorno prima dell’eventuale sorteggio. Santilli e il presidente del America, che si conoscono molto bene, si telefonano prima del sorteggio. Miguel Orejuela pretende di giocare il ritorno in casa, perché lui non può’ varcare i confini colombiani per ragioni giudiziarie ma Santilli risponde che gli aveva già fatto il favore cedendogli Gareca a buon prezzo per sistemare il bilancio quando non aveva nessuna intenzione di venderlo. A Lima si va al sorteggio, che sorride al River. Giocherà in casa il ritorno, la partita decisiva.

In Colombia va in scena la finale d’andata nello stadio Pascual Guerreo, che registra un incasso di mezzo milione di dollari. L’ambiente è bollente, lo stadio è incandescente per l’enorme posta in palio, «sembrava di giocare in una pentola a pressione» disse Veira. L’ America inoltre è assetato di vendetta contro quegli argentini che li avevano privati della vittoria l’anno precedente, con l’Argentinos. Ma i giocatori della Banda non si fanno intimorire e in 3 minuti tra il 23’ e 26’ mettono una serie ipoteca sulla finale. Il «Bufalo» Funes, alla prima da titolare (recuperato da un brutto infortunio) con un violento tiro incrociato porta in vantaggio gli uomini del Bambino, che subito dopo, raddoppia con Beto Alonso sfruttando un grande assist di Alzamendi. L’uno-due aveva calmato gli ardori dei tifosi «rojos» di Cali, ma che riprendevano coraggio a inizio ripresa, dopo aver accorciato le distanze con il gol di Cabañas. Il Forcing finale dei padroni di casa provoca solo tanta ansia ma nulla di più. Le speranze colombiane si infrangono sul trio PumpidoGutierrezRuggeri che ancora una volta sono autori di una prestazione da incorniciare. Finisce cosí 2-1 per il River e sarà l’unica squadra vincente a nella calda Calí, levando all’America un’imbattibilità casalinga storica che durava addirittura da SETTE anni.

La notte del 29 ottobre 1986 ci sono 80.000 riverplatensi che gremiscono un Monumental in fibrillazione dopo 20 anni d’attesa. In un Palco piccolo nella tribuna Belgrano, solo, c’é pure il gran presidente Santilli, che qualche giorno prima era andato a pregare alla chiesa di Udaondo (a pochi passi dallo stadio) chiedendo aiuto al Padre Eterno.

La formazione di partenza è identica a quella dell’andata a Calí: PumpidoGordilloGutierrezRuggeriMontenegroHenriqueGallegoAlonsoAlzamendiFunesAlfaro. La squadra é contratta e il primo tempo finisce senza grandi emozioni. Willington Ortiz la fa da padrone a centrocampo e fa venire brutti ricordi, dato che 5 anni prima con la casacca dell’altra squadra di Cali (il Deportivo) aveva eliminato il River segnando in entrambe le partite.

L’intervallo fa bene agli uomini del Bambino che entrano con un altro piglio nella ripresa. Al 68’, il Negro Henrique verticalizza per il Bufalo Funes che riceve palla spalle alla porta sui 25 metri, si gira, porta a spasso i due difensori dell’America e con un sinistro fulminante rasoterra trafigge il portiere Falcioni. L’urlo assordante di gioia sotto una pioggia battente accompagna la squadra fino al fischio finale. Dopo 20 anni di attesa, la Banda finalmente può compiere il suo sogno, diventato ormai un’ossessione: diventare campione sudamericano.Vent’anni prima, nel lontano 1966, ci aveva provato invano, perdendo la drammatica finale con il Peñarol, finale maledetta che si concluse con la «bella» di Santiago del Cile. Quella finale dove il River, in vantaggio di 2 reti, si fece rimontare dalla squadra di Montevideo che poi vinse ai supplementari. Quella fu la famosa finale che valse al River il soprannome di «gallinas». Addirittura ancora dieci anni prima, nel 1956, sempre in uno spareggio era stato il Cruzeiro di Belo Horizonte ad infrangere i sogni di gloria del River di Angel Labruna.

Il Bambino Veira è ora in lacrime sotto la pioggia benedetta e grida: «Lo chiamavano gallina Ermindo Onega, gli dicevano gallina, che cosa dicono adesso?» Onega era il bomber del River nell’edizione del 1966 persa, capocannoniere dell’edizione con 13 gol (record tuttora imbattuto).

Norberto ‘Beto’ Alonso

Il simbolo di questa coppa è il veterano Beto Alonso che viene portato in trionfo dai compagni. Il Beto era tornato al River dopo un esilio al Velez al momento giusto, per vincere la coppa dei suoi sogni. È l’apoteosi per il River che festeggia con i propri tifosi al Monumental.

Il presidente Santilli,
il River inizia a vincere in Sudamerica

Si avvera così anche la seconda parte della profezia del presidente Santilli: “Sarò presidente del River, vincerò un campionato argentino facendo il giro del campo alla Bombonera e alzerò quella benedetta Libertadores”.


[1986] Terza tappa: La Copa Intercontinentale

Conferenza pre partita, parla Veira

Ma per completare quel magico 1986, mancava la ciliegina sulla torta: la Coppa Intercontinentale. Per i sudamericani, l’Intercontinental non é solo un titolo che finalizza un ciclo, ma é la Coppa del Mondo: l’unico titolo che conta!

Il Presidentissimo Santilli aveva contattato i medici sociali dell’ Independiente e Argentinos, che erano stati in Giappone nelle due edizioni precedenti, per sapere se dovevano prendere degli accorgimenti in vista della finale di Tokyo. «Andate una settimana prima della partita per adattarvi al clima e soprattutto niente alcolici» fu la risposta congiunta di Avanzi e Fernandez Schnoor. Gli organizzatori pagavano solo 4 notti di albergo, quindi la dirigenza River pago’ le 3 restanti per completare la settimana. Venne richiesto formalmente ai ‘senatori’ della squadra l’astinenza all’alcol durante la preparazione alla partita. I giocatori non rispettarono il patto, ma i portavoce Alonso e Gallego (quest’ultimo era riconosciuto per la sua addizione agli alcolici) risposero al faccia a faccia con il presidente con: «un pò di vino ci farà bene, tranquillo, la partita la vinciamo».

La finale di Tokyo del 14 dicembre 1986 è contro lo Steaua Bucarest di Iordenescu, fresco vincitore della coppa Campioni ai rigori facendo fuori nientemeno che il Barcelona di Venables. È una partita abbastanza noiosa (come quasi tutte le finali), con qualche lampo e con le squadre molto attente in difesa. Veira sapeva davvero poco dello Steaua. All’epoca non c’erano i mezzi per potersi documentare minuziosamente sugli avversari, specialmente quando questi giocavano in un campionato poco conosciuto. Il Bambino aveva solo a disposizione il filmato della finale contro il Barcelona.

E un’altra cosa la sapeva il Bambino, che Lacatus era molto insidioso sulla fascia destra. Per questo, negli allenamenti di rifinitura faceva marcare Caniggia da Montenegro che era il terzino sinistro. «Se marchi Caniggia, che é il figlio del vento, Lacatus te lo sbrani» diceva il Veira ridendo. La formazione, manco a dirlo, era la stessa delle due finali Libertadores. Ai rumeni mancava Bölöni, uno dei suoi uomini più rappresentativi della squadra. L’arbitro uruguayo José Martinez dà il segnale di inizio alla venticinquesima edizione della Toyota Cup.

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La partita appare abbastanza contratta e tattica. All’improvviso però da un disimpegno poco fortunato della difesa del River, lo Steaua riesce a segnare con Belodedici che approffitta dell’infortunio argentino. Il gol però viene annullato per fuorigioco. Il River reagisce e al 28′ una punizione battuta rapidamente da Alonso consente ad Alzamendi di tirare davanti a Stingaciu. La palla, a portiere battuto, incoccia il palo, rimpalla sul portiere e ritorna indietro ad Alzamendi che di testa segna, portando così in vantaggio il River. Tra le sirene fastidiose dello Yokohama Stadium c’è la grande gioia degli argentini. Il Bambino che era già scattato dalla panchina qualche secondo prima, adesso leva i pugni al cielo, Alzamenti non ci capisce più nulla festeggiato dai compagni. Il sogno mondiale si avvicina.

Ora la partita d’attesa la fa ‘La Banda’ che non rischia troppo dietro e trascina la partita senza troppi patemi fino al fischio finale: Il River è per la prima volta CAMPEON DEL MUNDO!!

E’ l’apoteosi per il Bambino Veira che arriva nell’olimpo della Gloria dove nessuno mai nel River c’era arrivato prima. Un Campionato, una Copa Libertadores e una Copa Intercontinentale nello stesso anno, una locura.

E’ l’ultima partita del Beto Alonso, che come i grandi giocatori, appende le scarpe al chiodo dopo il suo più grande successo. El Mago de la Zurda, il Maestro finisce la carriera dopo aver vinto tutto con la squadra che ha stampato sulla pelle. Le parole di Hector Veira a fine gara: «Questo River ha 3 cose fondamentali: é intelligente, son grandi professionisti e capiscono immediatamente le mie indicazioni. I miei giocatori mi seguono perché ho una grande virtù’: quando parlo e gli guardo negli occhi, sanno che sta parlando una persona sincera». Dopo i festeggiamenti, Gordillo e Montenegro, i due terzini laterali, dissero che sapevano che avrebbero alzato la coppa prima di scendere in campo perché il Bambino Veira li aveva caricati a dovere.

Ma il segreto della vittoria lo rivelò il Bambino stesso: «Sullo Steaua avevo a disposizione solo il video della finale col Barcelona. Cercavo qualche punto debole dello Steaua e all’improvviso ne trovai uno. Dopo aver commesso un fallo i romeni erano soliti voltare le spalle alla palla. Era quella la chiave! Ogni volta che succedeva balzavo dalla sedia. Ne discutemmo poi con Beto Alonso, con Alzamendi, con tutti. E così avvenne. Dopo cinque minuti di partita Beto dà rapidamente la palla ad Alfaro, che calcia ma il portiere salva. Dopo 28 minuti si girano di nuovo dopo un fallo. Beto si precipita sul pallone, lo dà ad Alzamendi che segna. Ero molto felice che la vittoria fosse arrivata in quel modo». È l’apice della carriera per Hector e il punto più alto di sempre per il River. Dopo questo giorno mai più (fino ad ora) riuscirà a vincere un’altra Intercontinentale. Il Bambino e River, una cosa sola!

Nella storia del River, tutti i grandi allenatori sono stati dei giocatori che hanno vestito la casacca della squadra o addirittura usciti dal settore giovanile (basti pensare a LabrunaRamon Diaz, Tolo GallegoAstradaPassarella o Gallardo), ma nessuno é riuscito a portare il River, come lo ha fatto il Bambino………SUL TETTO DEL MONDO. Gracias de todo Bimbo!

di Magdi Sadalla


calcioargentino.it

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