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Storie, aneddoti e pensieri (brevi) sul futbol argentino

Stelle e meteore

Prologo: Il re dell’est se n’era andato tra le lacrime dei tifosi. Non era stato facile abbandonare la piazza che lo aveva amato come un figlio e lui lo sapeva bene. Andriy Shevchenko era arrivato al posto giusto ma soprattutto al momento giusto. Al Milan aveva fatto le fortune proprie e del club, ma era ormai tempo di guardare avanti; la moglie del giocatore aveva deciso di trasferirsi a Londra. E quando decidono le donne..

Galliani si trova tra le mani un gravoso compito: deve sostituire uno come Sheva. E non è molto semplice.

Passano i giorni e sulla scrivania dell’Ad iniziano ad accatastarsi report su report su un giocatore promettente, un tale che si sta mettendo in luce dall’altra parte del mondo, in Argentina. L’osservatore sudamericano, Monaco, cerca in tutti i modi di accelerare le operazioni affinché si chiuda il prima possibile, perché capisce bene che si tratta solo di questione di tempo. Altre big italiane ed europee stanno sondando il giocatore, cercando l’appiglio giusto, visto e considerando il costo dell’operazione abbastanza contenuto.

Il giocatore, a vederlo sembra un demonio, nella squadra dei diablos per giunta, in una sorta di filiale rossonera argentina, considerando anche la grande quantità di coppe conquistate. Autentico funambolo, agilità pazzesca, la palla sempre attaccata al piede, grandissima tecnica e gol meravigliosi. Sembra l’erede perfetto a cui consegnare le chiavi dell’armadietto numero sette a Milanello.

Adriano sarebbe anche tentato ma a Siviglia gli farebbero lo sconto, dati i buoni rapporti. Il giocatore che gli spagnoli gli offrono non è troppo conteso e non ci sarebbe nemmeno bisogno di un’asta dispendiosa per assicurarselo. E poi c’è il sogno di prendere Ronaldinho fra qualche anno, dato che l’agente gli ha fatto capire che spenderà più di una buona parola sulla causa. Il rappresentante infatti è lo stesso di Dihno. Il condor, ingolosito, alla fine si lascia convincere.

Nell’estate 2006 a Milano arriva Ricardo Oliveira dal Betis per 18 milioni di euro più il cartellino di Vogel. All’Atlético Madrid invece, annunciano el kun Aguero, in arrivo dall’Independiente per 19 milioni.


Lucas, el Puma dell’esultanza

Probabilmente meritava più rispetto. L’apodo di Lucas era ‘el puma’ e appena vedeva la rete gonfiata non ci capiva più nulla. Un animal, una sindrome alla Inzaghi potremmo definirla, ma certamente con un’accezione più folcloristica, in vero stile sudamericano.

Grandi prospettive nelle giovanili Boca ma anche grandi cadute ‘di stile’, per rimanere eleganti. Rapinare un parrucchiere certamente non faceva parte del primo contratto firmato da professionista, eppure lui era fatto così. Dopo alcuni giorni proprio dalla tv il coiffeur riconobbe chi gli aveva puntato sulla tempia quella pistola fredda che non smetteva di tremare.

Sbrigata la faccenda con la giustizia, nel Xeneize gioca con i più grandi, da Riquelme a Palermo. Ma lui è Viatri, il panchinaro. Una volta, capendo che avrebbe occupato un’altra stagione la panchina, sbotta davanti alla stampa di getto: “Se rimane Palermo me ne vado in qualche altra fottuta squadra”. D’altro canto non può farci nulla, davanti a lui c’è el Titán, Lucas al massimo può cogliere le occasioni che gli si presentano dinanzi. Al Boca i gol li fa e anche contro squadroni di un certo livello. Barcellona, Milan, Arsenal (quello inglese), oltre al gol iconico nel Superclasico (in inferiorità numerica). Nel 2012 il Boca si porta a casa la copa Argentina grazie alla sua solita pazza esultanza e poi, ancora reti in clasicos: SanLorenzo, Racing, Velez. Un avvoltoio dell’area di rigore dalla zampata letale ma soprattutto con un colpo di testa fenomenale.

Probabilmente meritava più rispetto, ma i legamenti saltati e le bravate lo limitarono nella continuità, e non poco. Come a capodanno del 2018 quando rimase ustionato in volto per lo scoppio di alcuni petardi, rischiando di perdere la vista.

Esto es Viatri, prendere o lasciare. Con quella sfacciataggine dopo il gol che faceva godere doppiamente i tifosi. Un vero animale dunque, e non solo dentro alla cancha.


Altro che hijos de puta.

E venne il giorno del giudizio. All’Olimpico di Roma va in scena la 14ª finale della Coppa del Mondo ed è la rivincita dell’ultimo mundial messicano: Argentina contro Germania.

Molte cose però sono cambiate rispetto a quattro anni prima. Nonostante Maradona sia ancora il faro del gioco argentino, il suo fisico non è brillante ed elastico come quello ammirato all’Atzeca ed è alle prese da infortuni che ne hanno pregiudicato il suo rendimento nel mondiale. Il gioco argentino poi, è caratterizzato da una sola regola: palla a Diego e quel che succede succede. Nonostante el pibe de oro stinga i denti e giochi con una caviglia grossa come un melone, l’infermeria e i squalificati abbondano nelle file albiceleste: Giusti, Caniggia, Olarticoechea non giocheranno la finalissima. Squadra decimata, come punta giocherà l’attaccante della Cremonese, DeZotti, al suo debutto da titolare. Le scelte degli 11 titolari sono purtroppo obbligate anche dai convocati di Bilardo. Più della metà dei giocatori portati in Italia sono difensori.

C’è un particolare, neanche troppo piccolo, che determinerà il tifo all’Olimpico: l’Argentina ha eliminato i padroni di casa dell’Italia divenendo così la squadra più odiata di Italia 90. Maradona cerca di raccogliere a se il popolo napoletano dopo l’eliminazione ma a Roma non funziona. La Pioggia di inciviltà Italiana si abbatte sull’inno argentino, provocando el Diego, che si lascia andare a due hijos de puta in diretta mondiale. La finale si incendia ancor prima del fischio d’inizio. D’altronde fischiare l’inno argentino sta diventando una moda, di tendenza diremo oggi, dopo i fastidiosi precedenti di Milano e Torino. L’Italia tifosa (tranne quella napoletana) dopo la cocente delusione si schiera nettamente dalla parte tedesca. In fondo, la Germania è il male minore per la stampa e l’opinione pubblica, soprattutto è ben vista dal Blocco occidentale dopo la caduta del muro di Berlino e l’unificazione dell’anno prima.

Sono i 90’ più brutti che una finale abbia mai concepito e per vincerla basta un rigore contestatissimo, quello di Brehme a cinque minuti dalla fine per un contatto in area che sa di regalo. L’Arbitro Codesal ne nega uno identico a DeZotti dichiarando qualche anno più tardi: “Maradona è tra le peggiori persone che ho conosciuto in vita mia.” Matthäus non se la sente di tirare, ha un problema allo scarpino, dirà a partita finita. E così lo tira il terzino interista. Gran tiro a gol a fil di palo che non lascia scampo a Goycochea, che pur aveva toccato la palla. Ma forse l’Argentina aveva già dato tutto a livello fisico e mentale eliminando gli azzurri, svegliando dai sogni delle notti magiche Schillaci e truppa azzurra. Gli squalificati poi, daranno il colpo di grazie ai sogni di gloria argentini.

Che cosa resterà di Italia ‘90 oltre che alla delusione del mancato successo? Un gruppo abbastanza mediocre ma lottatore fino all’ultimo pelota; un non gioco di Bilardo che verrà criticato da Maradona: “È stato un tradimento” dirà anni dopo; l’ultima vero mondiale del Diego prima della comparsa a USA 94; il figlio del vento Caniggia; il pararigori Goycochea; la vittoria nel Clasico contro il Brasile e l’eliminazione dell’Italia. E nonostante l’epilogo amaro, il mondiale di Italia 90 resterà nelle mente degli argentini come una grande avventura, una giostra continua delle emozioni che fece breccia nei cuori, tanto che i giocatori verranno accolti come eroi all’Obelisco della Capital al loro ritorno.

E per finire un pensiero. Già l’ambiente all’Olimpico era abbastanza ostile..ma cosa sarebbe successo se veramente el Pibe de oro alzava la coppa, in Italia, a Roma?

Altro che hijos de puta.


Avete imparato a scrivere il mio nome, eh?

La partita è terminata. Nel clima surreale del San Paolo, Goycochea è schizzato verso i compagni dopo averne parato un’altro. “Adesso li ho abituati male. Prima del momento decisivo contro la Yugoslavia avevo detto ai miei compagni: tranquilli ne paro due. E stavolta, prima che Baresi calciasse il suo rigore mi sono venuti vicino e mi hanno quasi implorato: almeno due li devi parare. Non ho voluto deluderli ed ho risposto: fatene quattro e vinciamo la partita. Non mi sono sbagliato.”

“Il mio segreto? Non ne ho. Non studio i miei rivali. Certo, contro l’Italia avevo una spia d’eccezione. Diego ha passato tutto il tempo dalla fine dei supplementari al primo rigore a raccontarmi dei suoi colleghi italiani. Ma niente di particolare: Serena tira forte, Baggio appoggia il pallone. Tutto qui. Su un rigore il portiere ha tutto da guadagnare e nulla da perdere. Se para è grande, se gli fanno gol l’attaccante ha fatto solo il suo dovere. Io me ne sto tranquillo in porta e mi tuffo dove penso che il pallone possa essere calciato. Se ho fortuna, paro.”

‘Cosa provi in quei momenti?’ Gli domandano. “Io credo che meno pensi e meglio è. Devi solo rimanere sereno e cercare di capire dove andrà il pallone. Quando è stata decisa la Selección il campionato in Colombia dove gioco era fermo. Non è stata una sorpresa che Bilardo non mi schierato titolare, era giusto così. E poi calma, in finale c’è tutta la squadra non solo Goycochea o Maradona.”

Gli chiedono: Da giocatore sconosciuto a rivelazione del mondiale, come ci si sente? “Avete imparato a scrivere il mio nome, eh?”

Sorride e se ne va.


Un po’ di acqua e Roipnol grazie.

In qualche maniera l’Argentina di Maradona era riuscita a qualificarsi agli ottavi dopo una girone tutt’altro che esaltante. Il tabellone del mondiale aveva stabilito fin da subito una sfida da infarto: Brasile contro Argentina al Delle Alpi di Torino.

Non è una squadra troppo spettacolare quella Argentina, anzi non lo è per niente. È però cinica e solida, tutti danno il massimo delle loro capacità, e poi c’è lui, El Diego. Da lui ci si aspetta sempre tantissimo, com’è logico che sia per quanto fatto vedere quattro anni prima e recentemente al Napoli.

La partita inizia e i carioca hanno fin da subito il soppravvento sulla gara. Le giocate di Alemao, Careca e Branco fanno tremare gli argentini, mai da quel momento così tanto in difficoltà. I pali e la traversa diventano i migliori amici del Goyco, divenuto titolare dalla sfida contro l’ Unione Sovietica per l’infortunio shock di Pumpido (frattura tibia-perone). Davvero da un momento all’altro ci si aspetta il gol gialloverde, che sarebbe meritatissimo. Per il CT Lazaroni è l’occasione per smentire le critiche di tutta la stampa dopo le partite opache fin lì disputate della Seleçao. Una vittoria contro gli arcirivali davveto ridarebbe ossigeno a una squadra spesso e volentieri fischiata. Oggi il Brasile ha tutte le carte in regola per passare il turno ..ma l’argentina ha l’asso nella manica.

Si chiama Claudio Caniggia, ‘Cani’ per gli amici, finora a secco nel mondiale ma faccia ben conosciuta dagli italiani. Da lì in poi prenderà il posto nel cuore di Diego sopperendo la mancanza di Jorge Valdano, suo grande amico, rimasto a Argentina per la mancata convocazione di Bilardo.

La partita non si sblocca, è ancorata sullo 0-0, il Brasile non sfonda e allora Maradona decide che è giunto il momento. Ridotto ancora maluccio dopo le attenzioni particolari della Romania nella fase a gironi, riesce in una delle corride a lui famose. 82’. Da centrocampo riesce ad incunearsi tra le maglie brasiliane, attirando a sè tutta la difesa e quando sopraggiunge al limite dell’area serve proprio Cani con un assist geniale, lui, l’8 che era rimasto dimenticato da tutti sul filo del fuorigioco. La beffa del dribbling su Taffarel e di nuovo il Ta-ta-ta-ta-ta di Hugo Morales certificano il clamoroso gol. E’ il colpo del ko. L’Argentina vince una partita surreale, condita anche dal famoso ‘avvelenamento’ a Branco dove dalla panchina ‘sbagliata’ gli allungano una borracia dal contenuto sospetto. Ma fa caldo e forse il calciatore del Genoa neanche ci pensa. Dentro c’è acqua e Roipnol, una benzodiapina insapore che inizia lentamente ad entrare in circolo nel corpo di Branco. E’ di nuovo la ‘viveza criolla’ , quella sopravvivenza necessaria degli argentini che non guardano in faccia a nessuno per riuscire nei loro intenti. La Seleccion fatta di garra e huevos passa il turno mandando a casa il Brasile. Sarà un trampolino importante per l’autostima di tutta la squadra per il proseguo del torneo.

Siamo appena ai quarti, ma in Patria è già il delirio.


Tornatevene a casa, qui non c’è niente da festeggiare.

Ancora negli occhi abbiamo le immagini dell’anno scorso. Di questi tempi a Boedo c’èra una fibrillazione mai vista prima, una cooperazione tra società e gruppi di tifosi per riuscire a celebrare nel miglior modo possibile il giorno più bello dai tempi della dittatura: la vuelta a Boedo, ovvero il ritorno a casa. 1/7/2019.

Il San Lorenzo de Almagro finalmente tornava a prendere possesso dei terreni storici dove sorgeva il viejo Gasometro, lo stadio storico fatto a pezzi dal generale Videla e rimpiazzato da un ipermercato. E fu davvero una giornata storica e indimenticabile: più di 130.000 persone parteciparono nei festeggiamenti con addosso una gioia indescrivibile. Il primo passo per il ritorno dello stadio a Boedo.

Ma a distanza di un anno il clima si è guastato. E di brutto. Non ci sarà nessuna festa, nessun festeggiamento per il primo anniversario, la zona recuperata è interdetta dalle autorità cittadine per la prevenzione al coronavirus. E fin qui lo potremmo anche capire. Quello che non si comprende è il secondo aspetto, tutt’altro che secondario. Contemporaneamente si sta combattendo un’altra battaglia: ottenere il via libera comunale per il progetto dello stadio ad Avenida La Plata. Qui entra in gioco la dirigenza del club, che sembra completamente sorda su questo argomento nonostante le laute promesse politiche. Si chiede in pratica la Ley de la Rezonificacion, ovvero la riqualificazione urbana dell’area recuperata, necessaria per la futura realizzazione dello stadio.

A distanza di un anno la macchina burocratica/legislativa non di è mossa di un centimetro, con i tifosi, guardiani a Boedo di una fede, che cercano in prima persona di smuovere le acque su vari fronti prima del termine di scadenza, datato fine anno. Mancano pochi mesi e quello che scandalizza è l’immobilismo del governo cittadino e SOPRATTUTTO quello della dirigenza, che appare insensibile a una questione così delicata.

Quest’anno a Boedo non ci sarà niente di cui festeggiare.


Italia über alles ‘90

Definendo Italia 90 come il mondiale più provinciale della storia del calcio forse non ci discostiamo troppo dalla realtà.

All’alba del 1990 il calcio italiano era il top assoluto del calcio europeo e mondiale. Non c’era campionato inglese o spagnolo che teneva il confronto con la serie A, con i campioni di tutto il mondo che facevano la fila pur di giocare nelle nostre squadre. Probabilmente ci consideravamo come i migliori del mondo e Italia 90 non faceva altro che dare dimostrazione di come in fatto di imprenditoria e potere calcistico, all’epoca eravamo i migliori (mani pulite permettendo).

Ci mancava una cosa, e forse la più importante: la sportività e il rispetto. Eravamo spocchiosi, sicuri di noi da poter essere al di sopra della convenienza e dell’eleganza. Tifavamo contro per partito preso e ne avevamo tutto il diritto perché giocavamo in casa.

Nella partita di apertura Argentina-Camerún San Siro si schierò nettamente con i simpatici africani, sfavoriti ma allo stesso tempo sportivi e umani in campo, a differenza della maggior parte di italiani presenti allo stadio. Pioggia di fischi all’inno albiceleste, talmente imbarazzante che perfino Pizzul (a posteriori) se ne vergognò. Ma perché tanta antisportività?

Qualche giorno prima il Napoli di Maradona aveva vinto uno scudetto al fotofinish contro il Milan di Sacchi e dei tre olandesi, umiliando l’Inter dei record dell’anno prima. Giocare la prima a Milano probabilmente fu un prevedibile massacro, ma non ci si poteva fare nulla, oltre che avere un minimo di senso civico. Il sorteggio aveva deciso così.

La palla arrivava a Maradona? Fischi. Maradona era a terra? “Scemoo, Scemoo”. Maradona sbagliava un passaggio? Offese e diti medi. Non era più un Argentina-Camerún, si stava giocando negli spalti un locale InterMilan vs Maradona.

Il FairPlay italiano iniziava così ad accompagnare per tutta la kermesse le partite dell’Argentina, la nazionale più odiata al mondo. Facendo così conoscere a tutto mondo il nostro limitato provincialismo. Eravamo i migliori è vero, oltre che al calcio, ad essere pelotudos.


calcioargentino.it

Fútbol allo stadio libero I

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