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Il Boca vince il suo 34º titolo nazionale in un testa a testa davvero drammatico contro il River. Entusiasmo alle stelle alla Boca e molti i protagonisti della conquista, dei quali tre, davvero determinanti: Riquelme, Russo e l’immortale Tevez.

Il Boca Juniors è il nuovo Campeón di Argentina della Superliga 2019/20. Grande trionfo della squadra di Russo che stravolge i pronostici di inizio 2020 e fa suo un titolo preziosissimo dopo due semestri molto diversi tra loro. Il primo giocato a velocità ridotta, il secondo in modalità supersonica, mettendo la freccia all’ultima giornata.

Se ad inizio 2020 ci avessero chiesto un favorito nella lotta del titolo tra River e Boca probabilmente avremmo risposto onestamente River. Il Boca era di nuovo un cantiere aperto in fase di ristrutturazione senza un capo alla guida. Dal traumatico cambio dirigenza di Riquelme-Ameal-Pergolini nei confronti di Angelici e Gribaudo (con polemiche annesse), al cambio allenatore in corsa (Russo al posto di Alfaro). Senza dimenticare, lo shock per l’addio improvviso di De Rossi. Troppo, non se lo meritava l’Istituccion e non se lo meritavano i tifosi.

Il Boca a inizio anno era tutto fuorché una squadra. C’erano diversi senatori nello spogliatoio ma non c’era davvero un leader che potesse riunire i vari clan prendendo in mano la squadra. L’unico, forse, era Tevez simbolo e bandiera dell’orgoglio Xeneize, leone di mille battaglie epiche, ma purtroppo non troppo considerato da Alfaro. Al contrario, il River era un gruppo unito e coeso guidato dal carisma del Napoleon Gallardo.

Que revolución Román!

Riquelme. È stato un tornado devastante per i tifosi, all’epoca come calciatore e dal giorno in cui decise di candidarsi come vicepresidente del Club. El Mudo ha riportato entusiasmo fin da subito nell’ambiente Azul y Oro dopo anche le recenti delusioni in Libertadores. Non che Burdisso non fosse amato alla Bombonera, ma l’ultimo Diez sa resuscitare vecchie emozioni represse troppo a lungo nell’anima xeneize. Per primo ha scelto chi doveva ridare i valori originari, l’dentità del Boca, Bianchi. Esiliato inspiegabilmente in questi anni, diventava collaboratore della dirigenza grazie al ‘figlioccio’ Riquelme. Come l’allenatore sceglieva Miguel Russo, ovvero colui che diede l’ultima gioia Libertadores. Per ultimo, rivalorizzava la bandiera che stava ormai sbiadendo, Carlitos, el jugador del pueblo. Come dire, un restyling bosteros in salsa vintage.

Miguel Russo
Autentica provvidenza per il Boca

Russo. È stato il suo avvento la chiave della rinascita. Ecco le prime parole alla sua presentazione: “Sono molto rispettoso nei confronti dei giocatori, il Boca è una buona squadra ma devo conoscere prima loro. Saranno i primi a conoscere la mia idea e il modo di metterla in pratica. Di acquisti/cessioni non parlo fino a quando non incontrerò la squadra.”

È arrivato in punta di piedi, chiamato da quel Riquelme che gli fece vincere la Libertadores 2007, ultimo trofeo continentale vinto dal Boca (prima della Recopa). Era lui la scelta necessaria per far tornare il club vincente, ma soprattutto per ridare quel gioco offensivo necessario come il pane se ti chiami Boca. È questo il punto di svolta.

Miguel dapprima ridava fiducia a un ambiente depresso dall’ennesima eliminazione da parte del River e poi ridava i gol, l’entusiasmo, l’osare, quelle caratteristiche diventate quasi tabù dall’ordine tattico ingessato di Alfaro. E soprattutto rivitalizzava un Tevez in procinto di cambiare aria. No lui non voleva andarsene, ma le circostanze quasi glielo imponevano. Non poteva sopportare altra panchina.

Tevez, di nuovo leader

È quella che è stata la mossa migliore del l’entrenador, dare di nuovo fiducia a Carlitos facendolo giocare di nuovo davanti alla porta. E se metti un Tevez che sta bene vicino alla porta non ce n’è per nessuno.

Grazie ai suoi gol e prestazioni il Boca ha tenuto testa al miglior momento stagionale del River. Dopo il primo pareggio dell’esordio dell’anno sono così arrivate sette vittorie consecutive, e grazie al nuovo modulo 4-1-3-2, Miguel ha ridato gol e spettacolo al popolo xeneize, mantenendo quasi sempre inviolata la difesa. Quasi la perfezione. Salvio e Villa diventavano sempre più capisaldi della squadra, anche senza MacAllister, volato nel frattempo in Inghilterra.

Dati Impressionanti: in sette partite il Boca segnava in Superliga la bellezza di 16 gol subendone..1 Anche il River ha produceva un gran calcio sfruttando anche un recupero di campionato, ma si fermava nel momento più importante. Se il Boca non ha smesso di vincere fino all’ultima partita, il River si è inceppato dapprima alla penultima in casa contro il Defensa y Justicia e poi in quella decisiva contro il Tucuman in trasferta. E cioè due punti in due partite contro i sei del Boca. È questa la spiegazione del sorpasso finale, i bosteros non hanno mollato mai, fino all’ultima.

È quindi meritato questo successo per quella continuità di risultati che forse neanche Russo si aspettava di avere.

Ecco cosa diceva il Dt bostero qualche giorno fa: “Stiamo giocando le finali del torneo e siamo senza margine di errore. Abbiamo chiaro su come vogliamo fare calcio. Per dar battaglia al titolo dobbiamo vincere e per vincere devi stare bene in ogni modo, mentale, fisico e futbolistico. Vogliamo tutti essere campeones. Tevez non mi sorprende, perché è un gran professionista e deve approfittare del suo momento per continuare a migliorare.”

È quindi il basso profilo, l’umiltà il segreto del successo per il Dt? Probabile, ma anche tanto lavoro di allenamento e di confronto con i giocatori, quasi da padre bonaccione in cerca di un feedback continuo con i suoi ragazzi. Adesso arriva la parte difficile, la Séptima, l’Obsesion, la Copa, il desiderio più profondo dell’animo del tifoso boca, ma per quella ci sarà tempo, e in fondo, sarà un’altra storia.

Eccolo di nuovo: “Era un mio desiderio tornare al Boca ed è successo. Adesso mi toccherà vincere la Libertadores e festeggiare alla Bombonera.. Ho molta tranquillità, calma. Ma anche molta gioia perché questo club è molto speciale nel mondo. Facevo parte della sua storia e ora ne sono ancora parte, sono felice.”

È inizio di un ciclo vincente? Ai posteri l’ardua sentenza. Ma i presupposti per far bene ci sono davvero tutti.

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